Oro verde, il costo reale dell’olio extravergine raccontato da esperti e produttori: il prezzo non lo immagini - ilmangione.it
Una filiera frammentata, costi reali in crescita e conoscenze carenti: quattro voci esperte spiegano perché il vero valore dell’olio italiano non può stare sugli scaffali a 5 euro.
L’olio extravergine d’oliva non è solo un condimento: è un simbolo culturale, un prodotto agricolo, un bene nutrizionale, un ingrediente centrale della Dieta Mediterranea. Eppure, nei supermercati italiani, il suo prezzo oscilla tra valori irrisori e cifre da boutique, creando confusione nel consumatore e mettendo in difficoltà chi lavora nella filiera. Non si tratta di una questione di gusto, ma di trasparenza, sostenibilità economica e consapevolezza culturale. In questo scenario complesso, produttori, tecnici e imprenditori raccontano che il problema non è solo quanto costa una bottiglia, ma quanto vale.
Un’Italia olearia divisa tra eccellenza artigianale e marketing di massa
Il paradosso del mercato dell’olio extravergine è evidente: si trova a 3,99 euro al litro in offerta, ma anche a 20 euro per mezzo litro. Eppure la dicitura è la stessa: “extravergine”. Come spiegano Nicolangelo Marsicani, frantoiano di Salerno premiato nel 2024 da Gambero Rosso, e Indra Galbo, capo panel della stessa guida, ciò che manca è una cultura del prodotto capace di distinguere e valorizzare. “La maggior parte degli italiani – dice Marsicani – non sa cosa compra. Se non si insegna a riconoscere un extravergine vero da un olio difettato, continueremo a premiare chi vende a poco e penalizzare chi lavora bene”.

Marsicani racconta di aver investito oltre 8.000 euro in un solo anno solo per proteggere i suoi ulivi. Costi reali, crescenti, che rendono insostenibile qualsiasi bottiglia sotto i 12-15 euro. Lo stesso discorso lo fa Galbo, che fissa la soglia minima a 11-12 euro per un prodotto italiano di qualità. Sotto, o si taglia sulla qualità, o si lavora in perdita. In entrambi i casi, a pagarne le conseguenze è l’intera filiera: contadini, frantoiani e consumatori disinformati.
Galbo sottolinea anche un divario culturale: “Il vino ha una narrazione, l’olio no. Non lo assaggiamo, non lo studiamo, lo diamo per scontato”. Il suo invito è quello di portare l’olio nelle scuole, nei ristoranti, nelle fiere, farlo conoscere con degustazioni, come si fa con il vino o il formaggio. Solo così, dice, il pubblico inizierà a riconoscere l’amaro, il piccante, il fruttato verde o maturo, e a pretendere un extravergine vero, non uno solo dichiarato tale.
Prezzo, filiera e percezione: tra artigianato sensoriale e industria trasparente
A complicare il quadro c’è un mercato frammentato, con due mondi che spesso non si parlano: quello artigianale-premium e quello industriale-commerciale. A rappresentare il primo è Massimo Ambrosio, produttore in provincia di Salerno, che rifiuta di pensare l’olio “a litro”. Per lui è un prodotto da assaggio, un’esperienza, un bene emozionale. “Il nostro olio – dice – non serve solo a cucinare, ma a raccontare un paesaggio, una stagione, una memoria. Chi cerca il prezzo basso non sta comprando questo, sta solo cercando grasso”.
La grande distribuzione, invece, è rappresentata da Giampaolo Farchioni, imprenditore con 800 ettari di uliveti e tre frantoi. Farchioni ammette che produrre olio in Italia è più costoso che in altri Paesi per ragioni geografiche e strutturali, ma respinge l’idea che gli italiani non siano disposti a pagare. “I nostri dati di vendita – spiega – dimostrano che i consumatori riconoscono qualità e tracciabilità, quando sono reali e visibili. Il problema è svendere l’olio continuamente, farlo diventare un prodotto civetta e quindi svuotarne il valore”.
Il suo approccio è pragmatico, ma non meno attento alla qualità: sostiene un modello in cui artigianalità e industria convivono, mantenendo alta la trasparenza sulla filiera. La chiave, per Farchioni, è dare al prezzo una funzione narrativa, capace di raccontare il lavoro nei campi, le differenze tra regioni, i costi veri di una produzione responsabile. “Solo così – conclude – il consumatore capisce che 15 euro non sono un lusso, ma un gesto di rispetto”.
L’ultima riflessione arriva dal confronto tra i quattro punti di vista: c’è chi punta sull’educazione sensoriale, chi sulla difesa dell’artigianato, chi sulla trasparenza dei processi. Tutti però concordano su un dato: un vero extravergine italiano non può costare meno di 15 euro al litro, senza compromettere la qualità o la dignità del lavoro agricolo. La domanda allora cambia forma: non è “quanto deve costare”, ma quanto siamo disposti a riconoscere ciò che c’è dietro a una bottiglia di olio.
