Mai e poi mai! Bocciate queste marche di spaghetti: quali non mettere nel carrello - ilmangione.it
Spaghetti di qualità o prodotto scadente? Come riconoscere la pasta dal colore, dall’etichetta e dalla tenuta in cottura già al supermercato.
Scegliere un pacco di spaghetti può sembrare un gesto automatico, quasi banale nella routine della spesa. Eppure chi cucina sa che non tutte le paste si comportano allo stesso modo, e che una scelta sbagliata può rovinare anche il sugo migliore. In Italia la pasta è quotidianità, storia, identità. Ed è proprio per questo che riconoscere una confezione di pasta di bassa qualità già dallo scaffale diventa un piccolo gesto di cura verso ciò che poi mettiamo in tavola. Basta osservare, leggere, valutare. Non serve essere tecnici del grano o chef stellati; basta un po’ di attenzione in più, perché, già, una pasta scadente rivela molto prima di finire nel piatto.
Il colore, l’etichetta e la lavorazione: cosa osservare prima di scegliere una confezione e come leggere ciò che la pasta racconta
Quando si prende una confezione di spaghetti in mano, lo sguardo deve fermarsi prima sul colore. La pasta di qualità mostra una tonalità giallo ambrata, uniforme, luminosa. Se appare pallida, quasi slavata, o tende al grigiastro, potrebbe indicare una lavorazione mediocre o l’uso di grani non eccellenti. A volte si notano puntini bianchi sulla superficie: dettaglio che, in molti casi, segnala una essiccazione non corretta o una semola poco raffinata. Non sempre questi segni sono sinonimo automatico di scarsa qualità, certo, ma nella maggior parte delle situazioni anticipano un risultato poco soddisfacente una volta cotta la pasta.
Poi arriva la parte che spesso si trascura: l’etichetta. La presenza di semola di grano duro come unico ingrediente, insieme all’acqua, è quello che ci si aspetta in una pasta di livello. La dicitura 100% grano duro italiano è spesso indice di filiera chiara e materia prima selezionata. Quando compaiono frasi come “miscela di grani” o provenienze vaghe, si entra in un terreno meno rassicurante. Alcuni produttori aggiungono glutine di frumento o amidi modificati: accorgimento industriale per migliorare struttura e tenuta, ma che racconta una qualità inferiore all’origine. Il pacco perfetto, invece, parla chiaro e senza ingredienti accessori.

A questo punto contano anche due aspetti tecnici della produzione: la trafilatura e l’essiccazione. Una trafilatura al bronzo rende la superficie più ruvida, capace di trattenere condimenti e amalgamarsi meglio ai sughi. Quando la pasta è lucida e molto liscia, spesso si tratta di trafilatura al teflon, più veloce e meno artigianale. Riguardo all’essiccazione, un processo lento e a bassa temperatura permette di preservare profumo, sapore e struttura. Una pasta essiccata troppo in fretta perde carattere, diventa più fragile e restituisce meno gusto una volta condita. Questi dettagli non sempre sono scritti chiaramente, ma molte aziende virtuose li dichiarano per scelta di trasparenza.
Infine, la percentuale di proteine. Su una buona pasta supera il 13-14%, segnale di grano forte e di tenuta ottimale. Valori più bassi indicano quasi sempre miscele meno pregiate. Basta un’occhiata al riquadro nutrizionale per farsi un’idea rapida. È un dato piccolo, ma parla molto.
La prova reale arriva in pentola: acqua torbida, rotture e collosità sono segnali che non lasciano dubbi sulla qualità
Una volta portata a casa, la pasta racconta la sua verità nel momento della cottura. Quando si tuffano gli spaghetti in acqua bollente, una pasta scadente libera subito un liquido molto torbido, quasi latteo, perché rilascia amido in eccesso in modo disordinato. Non si tratta di un dettaglio estetico: è sintomo di macinazioni meno accurate e di lavorazioni industriali accelerate.
Mentre cuoce, una pasta di qualità mantiene elasticità e struttura. Quella mediocre tende a rompersi, incollarsi tra i fili e trasformarsi in una massa molle e poco appagante. Una volta scolata, se gli spaghetti perdono forma, cedono subito, o risultano appiccicosi, la causa è quasi sempre una farina povera o una lavorazione frettolosa. Chi cucina lo vede, lo sente con la forchetta e lo gusta al primo assaggio. La tenuta alla cottura è ciò che fa la differenza tra un piatto ben fatto e un piatto anonimo.
Assaggiare uno spaghetto a metà cottura aiuta subito a capire. La pasta buona oppone una resistenza equilibrata, un centro leggermente “al dente” che non si spezza, ma neppure si trasforma in una “gomma” spessa. Se invece la struttura crolla facilmente, la pasta si sfalda o non mantiene corpo, significa che la qualità del grano non era eccellente. E, lo sappiamo, nessun condimento salvarà un prodotto nato debole.
In fondo, dedicare qualche secondo in più allo scaffale della pasta significa rispettare un’abitudine che appartiene alla nostra cultura. Non serve spendere cifre esagerate, basta osservare bene e fidarsi dei segnali. La differenza, nel piatto, si sente davvero.
