Cotechino delle feste, come si prepara davvero: il trucco per evitare di renderlo gommoso - ilmangione.it
Il cotechino è il re della tavola di Capodanno: ecco origini, differenze con lo zampone, cottura e abbinamenti.
Ogni anno, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, entra in scena lui: il cotechino, fumante, profumato, morbido, servito accanto a una cucchiaiata di lenticchie calde e un brindisi di speranza. È una tradizione che si rinnova puntuale, un gesto collettivo che unisce regioni, cucine e generazioni diverse. Ma il cotechino non è soltanto un piatto di fine anno: è un’eredità gastronomica con radici profonde, un prodotto della cultura contadina, nato da necessità e inventiva, e oggi divenuto una presenza immancabile durante le Feste.
Com’è fatto davvero il cotechino (e cosa lo distingue dallo zampone)
Chi pensa che cotechino e zampone siano la stessa cosa, sbaglia solo a metà. Il cuore è lo stesso: un impasto di carne magra e grassa, cotenna tritata, spezie e vino. Ma a cambiare è l’involucro, che nel caso dello zampone è una zampa di maiale intera, cucita e ripulita internamente, mentre nel cotechino è un budello naturale o artificiale. Anche la cottura cambia: il cotechino cuoce in due ore, mentre lo zampone ne richiede almeno tre. E per chi conta le calorie, è utile sapere che il cotechino resta più leggero, se così si può dire, rispetto al suo fratello con zampa.

Dal punto di vista nutrizionale, il cotechino apporta circa 250 calorie per 100 grammi, ed è ricco di proteine, grassi, ferro e vitamine del gruppo B. Certo, non è un alimento da inserire nella routine settimanale di chi soffre di colesterolo o sta seguendo una dieta. Ma nelle occasioni speciali, resta un piacere concesso e condiviso.
Sul mercato si trovano versioni fresche e precotte. La prima è più rustica, va acquistata dal macellaio di fiducia, richiede tempo e cura. La seconda è più comoda, si cucina in 30 minuti e, se scelta con attenzione, può dare ottimi risultati. In entrambi i casi, la cottura richiede accortezza: il cotechino non deve rompersi, né diventare gommoso. Il trucco è avvolgerlo in un canovaccio, immergerlo in acqua fredda, portarlo lentamente a bollore e lasciarlo sobbollire a lungo. Quando il budello inizia a cedere, quando il profumo è intenso ma non invadente, quando al tatto è morbido ma non sfatto, allora è pronto. Si taglia a fette larghe e si serve subito, ancora caldo, accompagnato da contorni che ne esaltino il gusto deciso ma rotondo.
Origine storica, segreti per riconoscere quello buono e abbinamenti da provare
Secondo una leggenda ben radicata nella cultura emiliana, il cotechino nacque nel 1511, durante l’assedio di Mirandola da parte delle truppe pontificie. In mancanza d’altro, i mirandolesi uccisero i maiali per non lasciarli ai nemici e conservarono le carni nelle zampe e nella cotenna. Un’idea di sopravvivenza, trasformata in capolavoro gastronomico. Ancora oggi, Modena ne vanta la paternità certificata con il marchio IGP, ma il cotechino è entrato stabilmente nella cultura culinaria di tutta Italia, da Nord a Sud, anche se con qualche variante regionale.
Capire se un cotechino è di qualità non è difficile, basta allenare occhio e naso. Un buon cotechino ha un colore rosato non troppo acceso, punteggiato da grassi biancastri. Se è troppo compatto, liscio o lucido, potrebbe contenere additivi, amidi o farina di latte. Il profumo deve essere dolce, leggermente speziato, mai acido. Dopo la cottura, se il colore diventa eccessivamente rosso vivo, probabilmente sono stati usati antiossidanti. In quel caso il sapore sarà meno autentico, più “da supermercato” che da tavola delle Feste.
Una volta cotto, il cotechino dà il meglio accanto a lenticchie, per motivi simbolici ma anche gastronomici: le lenticchie, con la loro consistenza densa e il sapore terroso, bilanciano il grasso del cotechino. Ma ci sono abbinamenti alternativi da provare. Il più classico è con un purè di patate, ma chi vuole osare può puntare su purè di topinambur, broccoli, o su una polenta morbida. Anche spinaci lessati e ripassati in padella sono un contorno perfetto, soprattutto nel Nord Italia. Il cotechino, inoltre, può diventare ingrediente di altri piatti: ottimo con gnocchi, come base per ravioli, oppure in crosta, tipo Wellington. Un’idea moderna ma golosa, che unisce rusticità e raffinatezza.
E se avanza? Si può congelare, meglio se crudo e ben sigillato, oppure già cotto, da consumare entro poche settimane. In entrambi i casi, basta scongelarlo lentamente in frigo, poi cuocerlo o rigenerarlo secondo la tradizione. È un modo per non sprecare nulla, ma anche per prolungare il piacere delle Feste qualche giorno in più.
