Mandarini e clementine, sai riconoscerli? Ecco come distinguerli e quale frutto è più sano - ilmangione.it
Hanno lo stesso colore e profumo, ma sotto la buccia nascondono storie genetiche e gusti molto diversi.
Quando arriva il freddo, le cassette di agrumi riempiono le cucine italiane. Frutti piccoli, arancioni, profumati: a vederli sembrano identici. Eppure, basta sbuciarne uno per capire che non è così. C’è chi è più dolce, chi aspro, chi ha un profumo resinoso e chi quasi non ha semi. La somiglianza inganna. Mandarino, clementina e mandarancio sono il frutto di incroci genetici diversi, a partire da tre specie antiche: mandarino, pomelo e cedro. La scienza negli ultimi anni ha ricostruito l’albero genealogico di questi agrumi, spiegando perché certi spicchi pizzicano la lingua e altri invece sembrano caramelle naturali.
Incroci, acidi e zuccheri: cosa cambia davvero tra i tre agrumi
La distinzione tra mandarino, clementina e mandarancio comincia da una radice comune, ma si complica velocemente. Studi pubblicati su riviste internazionali come Nature e BMC Genomics hanno tracciato l’origine genetica: la clementina, ad esempio, nasce da un incrocio tra un mandarino mediterraneo e un’arancia dolce (che a sua volta è un ibrido di mandarino e pomelo). È questa origine a renderla più dolce, con meno acidità e soprattutto quasi priva di semi. I valori di pH sono più alti (circa 4.5) rispetto ai mandaranci, che scendono anche a 3.5, indicando maggiore acidità.

Nel caso del mandarancio (categoria che include i tangor, come l’Ortanique), le combinazioni genetiche sono più varie e il gusto ne risente: è più aspro, più deciso, spesso con una buccia più spessa. Gli studi chimici hanno analizzato zuccheri (TSS), acidità (TA) e indice di maturazione (MI). Quest’ultimo, che esprime il rapporto tra zuccheri e acidità, è ciò che più percepiamo quando diciamo: “è buono”. Le clementine, grazie a un MI più alto, risultano equilibrate e gradevoli, mentre i mandaranci tendono al forte e spigoloso.
In laboratorio, le differenze sono nette: le clementine hanno un contenuto zuccherino tra 12 e 14.4 °Brix, mentre gli ibridi sono più variabili. Sul fronte acidità, il mandarancio Ortanique spicca con 35.8 g/L, una soglia altissima. I profili aromatici, analizzati separatamente, confermano le distanze: il mandarino ha γ-terpinene più alto e un aroma più “verde”, mentre la clementina domina con il limonene (oltre il 90%), responsabile dell’odore pulito e fresco tipico degli agrumi commerciali.
Queste differenze non sono solo scientifiche: chi consuma regolarmente agrumi lo sa, anche inconsapevolmente. Un frutto pizzica di più, un altro è più rotondo, uno lascia un retrogusto più intenso. La spiegazione è nei numeri, ma si sente chiaramente anche in bocca.
Ibridi moderni e agrumi “intelligenti”: il caso di Tacle e Clara
Oltre ai tre classici, negli ultimi anni la ricerca ha sviluppato ibridi nuovi, incrociando varietà per ottenere frutti sempre più adatti alle richieste di mercato. Due esempi emblematici sono Tacle e Clara, nati dall’incrocio tra clementina e arancia Tarocco. Hanno l’aspetto di un piccolo arancio, ma la praticità di una clementina. Questi mandaranci “rossi” sono facili da sbucciare, ricchi di succo e con una composizione nutrizionale superiore.
Uno studio del Journal of Agricultural and Food Chemistry ha misurato valori significativi: il rendimento del succo arrivava al 48% nel caso di Clara, e la vitamina C superava i 75 mg per 100 ml. Le analisi mostravano anche la presenza di antociani (i pigmenti dell’arancia rossa) e cianidine, antiossidanti naturali che rafforzano il profilo salutistico del frutto.
Non si tratta solo di estetica o gusto. Questi ibridi rispondono alla richiesta di agrumi comodi, nutrienti, e dal sapore dolce, mantenendo però la personalità distintiva. Anche se vengono classificati come “mandaranci”, in realtà non sono assimilabili né alla clementina né al mandarino classico. Hanno un aroma proprio, un succo più pigmentato, una buccia più sottile e un equilibrio chimico studiato a tavolino.
Il futuro degli agrumi sembra andare in questa direzione: ibridi intelligenti, capaci di coniugare gusto, praticità e nutrizione. Non è un caso che, nei mercati del sud Italia, Tacle e Clara comincino a comparire accanto ai frutti più tradizionali. E molti consumatori iniziano a riconoscerli a occhio nudo, ancora prima di sentirne l’odore.
