Prezzo per persona bevande incluse: 40 €
Recensione
E il navigar m'è dolce in quest'Emilia. Come sempre. Riconosco le mie partigianerie, le mie debolezze. Ci provo, ad essere oggettivo. Mi prodigo in fioretti e preghierine. Ma, tant'è, a parlar male di un emiliano faccio la stessa fatica che faccio a parlar bene di un toscano. E qui, proprio, a parlar male, a trovare qualcosa di anche lontanissimamente storto non ci si riesce.
Andiamo con ordine.
Ho un editore generoso. Generoso ma non del tutto libero. Siamo invitati a pranzo al Leon D'Oro, locus amoenus di proprietà di una collega scrittrice, nonché splendida Oste. Siamo suoi ospiti. Ma lui, l'editore, ci raggiunge tardi. Gli vogliamo bene lo stesso, sapendo benissimo quanto possono costare i nulla aosta (per usare uno strafalcione d'un antico caramba) muliebri e famigliari. Siamo materiali, noi. Ci accontentiamo della tavola. Tanto, col buon Max, c'è poi tempo per chiacchierare più tardi.
Zibello è nel centro di un particolarissimo, e per me irraggiungibile, universo gastronomico. Parma, Cremona e Piacenza sono più o meno equidistanti. Si sente nel menu, nell'atmosfera, nell'allucinante e splendida Bassa che a volte ti pare sia qualche centinaio di metri sotto il livello del mare. Quella Bassa dove per misteri goduriosi quanto insondabili suona benissimo il blues.
Quella che ha notti automobilistiche baciate dalla voce di Johnny Cash. È un far west, la Bassa. E su questo non ho dubbi. E dalle nebbie spuntano osterie impagabili. E questa è una di quelle. Fors'anche una delle migliori.
Anche se quel giorno lì c'era il sole, e l'ambiente era più godereccio che mai, lasciandosi le probabili malinconie da pianura per quella sera che ci avrebbe visti già rientrati a casa. Ambiente caldo. Pieno di gente (sempre un buon segno: la storia siamo noi, nessuno si senta offeso, o escluso...).
Menu degustazione, con voti, così da non farla troppo lunga: culatello di Zibello, nove, spalla cruda stagionata, strolghino, tutti nove (con menzione particolare per lo strolghino), con verdure in agrodolce, nove, lardo di conca, nove, polenta e gras pist, otto, la polenta e dieci e lode il gras (lo merita anche solo per la sovrana e divina goliardia del piatto: una ciotola piena di grasso), tortelli d'erbette, sette.
Chicche del nonno, sei (piatto buono ma che per me paga la panna nel sugo, che trovo sempre o quasi figlia del demonio), pisarei e fasoi, nove (davvero buoni), fettine di petto d'anatra marinate, nove, insalata di cappone, nove, guancialino di manzo all'aceto balsamico, dieci e lode (perfetto, peccato sia posizionato alla fine di un tour de force totale), scaglie di parmigiano con gocce di aceto balsamico, tradizionale di Modena invecchiato 25 anni, sette, e coppetta di Malvasia paassita Vigna del Volta, otto.
Si finisce col piatto del goloso, una serie di paste e pasticcini (più che piccola pasticceria) davvero goloso e ben pensato: peccato essere distrutti per l'aver divorato il nostro e buona parte di ciò che le arrendevoli mogli lasciavano nel piatto con dolosa ed imperdonabile femminilità. Il tutto per 35 euri vini esclusi, che è pochissimo pagando, niente quand'è offerto.
Si esce felici, si guarda la Bassa, si fan quattro passi e si rientra per il “tè letterario”. Poi si lascia questa landa apparentemente desolata ma in realtà ricchissima con un brevissimo rinvio, a metà febbraio, per il BUK di Modena (fiera dei piccoli editori).
Ah...Mamma Emilia...
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