Prezzo per persona bevande incluse: 40 €
Recensione
La premessa di questa recensione è che probabilmente si vedrà alleggiare al suo interno un costante senso di meraviglia. Lavoro da più di cinque anni a Vimodrone e l’assoluta mancanza di qualità ed attrattive di questa cittadina mi ha sempre fatto sentire come quei funzionari britannici in servizio nei posti più remoti dell’impero, sempre alle prese con l’ostilità dei luoghi e l'ignavia degli indigeni. Mai e poi mai avrei potuto supporre che in questo luogo potesse nascondersi un buon ristorante e perciò, quando un collega di cui avevo appena cominciato ad apprezzare l’interesse per la buona cucina, mi ha suggerito il Sorriso ho accettato solo per mancanza di alternative reali e ovviamente perché il check su ilmangione.it e sul sito Internet avevano dato riscontro positivo.
L’arrivo al ristorante, se uno non fosse preavvisato, non farebbe che confermare i timori. Siamo di fianco alla metropolitana di Vimodrone ed il parcheggio è facile, il ristorante è sull’angolo dopo il cavalcavia, un anonimo cubo da edilizia da hinterland anni cinquanta con una rampa, una porta e dei muri che avrebbero bisogno di una rinfrescata, si deve suonare per entrare. Insomma ci si aspetta che dietro al porta ci sia una fumosa sala biliardo, con mescita di spume e Campari lisci e avventori bordeline.
Si viene fatti accomodare e l’effetto è quello da "Oltre lo Specchio" perché di colpo ci si ritrova in un ambiente caldo, elegante, discreto, in totale contrasto con il paesaggio dell’hinterland solo un metro più indietro; una specie di porta dimensionale verso il centro della metropoli. Non descrivo l’ambiente se non dicendo che da un senso di eleganza perché nessuna delle sovrastrutture colpisce e questa è una nota positiva, non amo i ristoranti carichi di quadri, ninnoli, casse o gadget, per me il ristorante deve avere un ambiente neutro che non disturbi l’esperienza, esattamente come un bicchiere di cristallo bianco per i vini.
La sala è ampia ed i coperti bene spaziati, malgrado quasi tutti i tavoli siano occupati per tutto il pranzo non veniamo minimamente disturbati dalle conversazioni degli altri avventori e, suppongo, lo stesso vale per il nostro chiaccherare.
Saluto un vecchio amico buongustaio che trovo al tavolo in fondo e ci accomodiamo in un tavolo d’angolo. Mancano attaccapanni e mettiamo i cappotti sulle sedie ma questo è un peccato veniale (escludendo la volta che la cinghia della mia borsa, abbandonata lungo la parete a mo di laccio per conigli, ha rischiato di far finire il nostro anfitrinone lungo e disteso sulle pietanze); il tavolo quadrato è ben spazioso, tovaglia e tovaglioli di cotone, tre bicchieri davanti ad ogni piatto.
Cestino del pane con diverse fette di pane di vario tipo di buon livello, grissini di buona fattura anche se non eccelsi, unica nota evitabile un pacchetto di cracker industriali. Ci portano subito un piatto con tre ciotole di diversi burri, uno al salmone molto delicato, uno tartufato veramente buono, ed uno di colore chiaro e con un gusto tenue che non riusciamo ad individuare. Poco dopo ci portano anche un piattino a testa con quattro diversi tipi di pane su cui spalmare il burro, uno giallo di mais, uno di segale, un altro scuro ed un pane nero che sembra di seppia ma che seppia non è. L’idea è apprezzata ed in poco tempo le sei ciotole sono vuote.
Non vi è menu, le proposte del giorno vengono invece raccontate dal gentile cameriere, soluzione che non mi piace perchè non lascia il tempo di riflettere, porta a dover decidere se prendere l’antipasto senza sapere cosa viene proposto fra i primi ed i secondi, crea inutile entropia e la ridda di domande del tipo “cos’era quella prima?” o “scelgo la seconda che ha detto, cos’era”. Viene comunque prima chiesto se vogliamo stare sulla carne o sul pesce e vengono poi illustrate le scelte del giorno che sono veramente ampie e di interesse che ci creeranno non pochi problemi nel decidere. Scegliamo tutti di prendere un antipasto di terra seguito da un primo. Nel frattempo mi distraggo e non riesco ad impedire che venga versato il solito bicchiere di scipide bollicine d’apertura che è la piaga diffusa dei ristoranti italiani.
Chiediamo la carta dei vini e ci viene chiesto se vogliamo quella dei rossi, dei bianchi o delle bolle, domanda che fa ben sperare su quello che ci aspetta. La scelta va ovviamente sui rossi e ci arriva un libretto formato A4 rivestito in pelle con ben sei pagine di vini rossi, veramente tante bottiglie fra cui scegliere. La varietà è molto ampia, sia geograficamente che per fascia di prezzo, troviamo i soliti noti ma anche etichette poco diffuse ma di alto interesse, i ricarichi potrebbero essere leggermente più contenuti ma per l’area milanese sono più che accettabili. Nota positiva sula carta, per molti dei vini è indicato il giusto abbinamento consigliato; nota negativa sulla carta, i vini sono in ordine alfabetico e non divisi per zona od altro criterio di suddivisione. Scelgo un buon Shiraz di Casale del Giglio, il base ovviamente, non il Mater Matuta, un vino con un ottimo rapporto qualità/prezzo che si sa fare apprezzare a tutto pasto. Si comincia a questo punto a mangiare.
Saccottini di carciofi con fonduta. Porzione abbondante e ben presentata, il carciofo è delicato, tagliato con la giusta consistenza molto fine, si sposa bene con la fonduta che lo accompagna.
Antipasto di cacciagione. Porzioni molto ampie, tanti tipi di salami e prosciutti, tutti saporiti e di buona qualità, una scelta di cui i miei commensali sono contenti.
Caramelle di fontina dolce con crema di radiccio. Piatto estremamente saporito, la pasta delle caramelle ha la giusta cottura, la fontina ha il giusto livello di dolcezza che sposa bene il contrasto con la salsa di radicchio. Buona la presentazione.
Orecchiette alla diavola. Ottime le orecchiette, giudizio positivo.
Non riusciamo ad esimerci dal dolce, la lista che ci viene raccontata è lunga e tentratice. Uno di noi riesce comunque a non cedere, prende un sorbetto al limone che risulta essere di buona fattura e abondante nelle dosi.
Ulteriore scelta la torta di pere al cioccolato. Aspetto invitante, pasta di buona fattura, ottima commistione di gusti.
Io prendo un semifreddo di fichi con la cannella. Il primo plauso va alla proposta del fico, questo frutto che era la base della pasticceria dei Romani sembra essere caduto in profonda disgrazia e raramente viene proposto nei ristoranti malgrado abbia una dolcezza non stucchevole ed una complessità di sapori che pochi frutti nostrani, per non parlare di quelle cose caraibiche da fighetti che vanno tanto di moda, riescono a proporre. Il piatto è di vetro, in mezzo troneggia il semifreddo di un bel color marrone chiaro, attorniato dalla sua salsa e uniformemente ricoperto dal marrone scuro della cannella. Sul semifreddo si vedono dei piccolissimi pezzi di fico caramellato che si riveleranno una gioia al palato. Il sapore è intenso, l’equilibrio con la cannella perfetto, devo lottare per non leccare il piatto.
I miei commensali prendono un caffè, io ne prendo uno doppio dovendo affrontare ancora un altro cliente, un partner e due riunioni nel pomeriggio.
Conto 119 euro in tre. Il vino sono sedici euro, prezzo da riportare con menzione. Coperto 2,50, giusto per qualità della sala e per le proposte di accompagnamento; caffè 2,50, si poteva fare meglio.
L’esperienza è nel complesso molto positiva, ci tornerò.
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