Prezzo per persona bevande incluse: 90 €
Recensione
In cima ad un cocuzzolo, tra lunghi filari di viti e verdi manti erbosi, valicando poggi fioriti e fertili altopiani, si arriva in un piccolo paese. Proprio al centro di questo paese, fra casupole e modesti poderi, c’è un ristorante la cui fama riecheggia ormai da tempo.
E’ qui che giungo, per mia somma letizia, al volgere d’un giorno d’inizio primavera.
Ora mi trovo dinanzi alla porta. Indugio un istante…
C’è un momento, un breve attimo prima dell’ingresso che vale la pena esser raccontato.
L’oscurità della sera incornicia il locale, la luce trapela fioca dalle finestre; l’insegna domina il frontespizio e col suo bagliore conquista inevitabilmente la vista. S’ode un leggero mormorio all’interno mentre fuori un’auto romba, un clacson suona. Affinando l’udito si percepisce suono di stoviglie, tintinnio convulso di forchette. Indugio. Le sensazioni aumentano. Profumi aleggiano invadendo le narici, non tutte insieme: distinguo prima l’odore avvolgente del pane caldo, poi quello pungente dell’aglio che sfrigola; ora un tartufo viene grattugiato, ora un vino versato e m’inebria col suo bouquet. Indugio. Un passo, suono il campanello, il cuore langue d’attesa. Entro.
Con questo spirito e ardimento, che in egual modo spero d’aver infuso nel lettore, m’accingo ora in enfatica narrazione del convito testè menzionato.
Raviolo di rapa bianca con salsa Martini e ginepro.
Il valzer inizia all’insegna della freschezza. Questa proposta non è altro che la “scomposizione” vera e propria di un cocktail d’aperitivo, risplasmata da Parini al ruolo di antipasto. Vi è l’elemento alcolico, il Martini, l’elemento aromatizzante, il ginepro e infine l’elemento vegetale, la rapa bianca, che sostituisce l’oliva verde e dona al piatto stimoli piacevolmente freschi.
Caprese d'inverno.
Pomodoro, mozzarella e origano.
Il pomodoro sottoforma di sottilissima sfoglia ricopre la mozzarella sciolta e l’origano si frappone tra essi. Qui interessante è lo scambio di consistenze rispetto all’usuale tra la mozzarella e il pomodoro, e il sottile equilibrio dolce-acido della sfoglia di quest’ultimo.
Crema di erbe spontanee, cannolicchi, gianchetti, gelsomino e limone candito.
Debutto assoluto di questo piatto. Mi ritengo fortunato nel poterlo testare addirittura prima dei patron Fausto e Stefania.
Su una crema liscia, verde vivo, neutra al gusto, sono adagiati gianchetti e cannolicchi in una fusione monocroma, spezzata dal limone candito che dona luminosità al piatto. L’agrume, inoltre, apporta acidità e dolcezza al contempo vivacizzando l’insieme.
Il gel di gelsomino elargisce note floreali e sentori di primavera.
Mazzancolle e triglie, crema di carote, confettura di rosa canina e rapa rossa.
Come ottenere il massimo risultato partendo da un’ottima materia prima manipolata il meno possibile. La mazzancolla e la triglia (cotti al vapore presumibilmente) sprigionano a pieno le proprie caratteristiche organolettiche e si esaltano con l’incontro ora della crema di carote, ora della confettura di rosa canina e in ultima istanza della rapa rossa.
Risotto alla marinara.
L’olfatto svela da subito l’aulenza spiccata di questo piatto. La polvere di abete rosso e il dragoncello esalano aromi che non prevaricano poi l’analisi gustativa.
Per quanto riguarda la costruzione del piatto, vorrei scindere due punti: l’idea, che trovo geniale, di una tartare di seppia travestita da riso (molto simile per forma e consistenza al violone nano), con l’aggiunta di ricci di mare e fegato della seppia stessa a improntare connotati marini al piatto, e il fondo di sedano rapa come collante aromatico.
L’esecuzione, invece, non mi convince per l’abuso proprio di quest’ultimo elemento, fino a risultare quasi un risotto al sedano anziché alla marinara.
Ravioli di baccalà con emulsione al fieno.
Per tradizionalisti.
Originale comunque l’accostamento mare – terra ricavato dal sapore intenso del baccalà, avvolto dal profumo lieve del fieno appena tagliato.
Riso in bianco.
Richiesto extra menù. La curiosità è tanta. Si è parlato molto di questo risotto. Degli effluvi di bosco emanati, del sentore di pino in bocca. Concordo su tutto, ma io vorrei porre l’accento su un altro particolare che più mi ha colpito: la nota amara.
Sovviene da subito al primo assaggio e contraddistingue prepotentemente questo piatto.
L’amaro non è per forza l’accezione negativa del gusto. Parini lo dimostra con forza controvertendo lo stereotipo del risotto. L’amaro assurge a ruolo di protagonista assoluto nei confronti di una base neutra e di moderatore nei confronti un’essenza di cipresso molto intensa e predominante. A sua volta, però, non eccede mai e si libra in un’orchestra di sapori e odori ove tutti gli elementi suonano all’unisono.
Agnello, cipollotto, carciofo e salsa di genziana.
A rischio di ripetermi, anche in questo caso il surplus è dato dalla salsa alla genziana di tendenza amarognola. Il piatto è di per sé semplice anche se tecnicamente perfetto. Agnello in due modi: arrosto e polpetta, con cipollotto brasato e carciofo appena cotto e mantenuto turgido. Il tutto irrorato dalla salsa alla genziana. Quest’ultima amplifica all’ennesima potenza il gusto dell’agnello, avvolgendo la sua caratteristica selvatica fino all’apoteosi, in un turbinio di sensazioni libidinose.
Cagliata al limone con chinotto e limone candito.
Questo dolce riconcilia mente e bocca a sapori familiari, ben accolti a questo punto della cena. Semplice nella composizione e godibile all’assaggio.
Cioccolato e nocciola.
Niente di entusiasmante, invece, questo dolce, portato dallo chef in persona. Spicca anche qui una marcata amarezza del cioccolato, contrapposta alla dolcezza della crema alla nocciola. Non ci si straccia le vesti.
Da segnare invece la madeline soffiata alla lavanda: reminescenza di campi provenzali.
Servizio.
Decoroso. Elevato dalla presenza in sala della patron Stefania, che accoglie i clienti con grazia, professionalità e grande senso di cortesia.
Conclusioni.
Nella delicatezza dei suoi piatti, Parini disegna l’archetipo della cucina “sensoriale”, assemblando un mix di sapori, odori e percezioni di sicuro effetto.
Mai banale, privo di fronzoli e barocchismi fini a se stessi, cela nelle sue creazioni, apparentemente sobrie, concetti gastronomici nuovi che si palesano ad un assaggio attento e privo di schemi precostituiti.
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