Prezzo per persona bevande incluse: 75 €
Recensione
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E pensare che la segnalazione era di quelle attendibili. Evidentemente il dottore è un pessimo medico a se stesso, ovvero non è detto che chi lavora nel settore (a livelli graniticamente belli) sia anche un buon consigliori di suoi colleghi. E comunque mi fido, prenoto, e vado. Anzi, andiamo, io e mia moglie, parcheggiando la bimba come tutte le volte che su una tavola ci vogliamo concentrare come si conviene, e soprattutto come il Dio Gusto ordina.
Arriviamo, non c'è nessuno. Nell'arco della serata s'abiteranno tre tavoli (questo per la cronaca: era un giovedì e, dalle nostre parti, la crisi non ha per nulla visto la luce alla fine del tunnel).
L'ambiente è carino, ben arredato, piatti e posateria fin troppo trandyini, ma comunque adatti, la temperatura giusta e la musica (un best dei Tears For Fears) lancia nell'iperuranio il buonumore.
Il servizio è estremamente gentile. Dunque, tutto fa pensare al meglio.
La carta, lo avevo letto in rete, è ridottissima, e “parla” solo di pesce. Il che è, non aprioristicamente, ma tendenzialmente, un buon segno.
Ordiniamo due piatti a testa ed un sollazzo enologico. Lo confesso: sfido le norme e sono uno dei pochissimi che a tavola non ha ridotto il consumo: continuo, in sintesi, ad esser figlio della filosofia della bottiglia, e non di quella del bicchiere, fiondandomi poi lento a casa, con occhio volutamente apertissimo e caramelle di menta in bocca, ingollate a nastro.
Dunque eccola lì, la nostra buona bottiglia di Gavi Domino di Ca da Meo, più che discreto.
Anzitutto l'antipasto di mare dello chef, per entrambi. Ovvero: crema di patate con nocciola e gamberi. Crema decisamente interessante e gamberi ben cotti e gustosi il giusto, anche se un giusto già tendente all'eccessivamente tenue. Astice con asparagi e fritti di baccalà: entrambi un po' troppo leggeri, vicino all'inconsistenza, sia quantitativa che qualitativa. Insomma: finora roba buona, ma di quella che fa sorridere sornioni, figli di un “vabbè”, e far la faccia da intenditori per poi sussurrare un leggero “ma sì”.
Diciamocelo, però: l'entusiasmo abita altrove.
Passiamo al piatto principale. In carta, ovviamente, sono indicati come secondi: rimane il dubbio sulla correttezza della nostra scelta del salto del primo. Totano agli agrumi e scampi e gamberi alla grappa di moscato. Si può condensare un'unica critica per entrambe le portate: gusti troppo tenui. Dio bono: troppo troppo troppo tenui. Le aromatizzazioni sono un miraggio: in sostanza, se non vi fosse stato scritto che i piatti erano alla grappa ed agli agrumi, sarebbe stato praticamente impossibile indovinarlo.
In più, il totano aveva la classica “durezza da pizzeria”, per il locale e per il costo, direi, una cosa imperdonabile. Se voglio il totanone masturbatorio, da gioco tra sé e sé, mi compro un surgelatasso all'Iper e mi sollazzo col peggio frittume della casa, litigando dolosamente con la femmina di casa e mettendomi un piacionissimo disco degli Spands in sottofondo: ognuno si ama come vuole.
Se esco (e pago), voglio altro.
Il semifreddo al croccante, col quale chiudiamo, è per fortuna davvero eccellente, così come il liquore all'anice stellato di Leone, con il quale chiudo definitivamente la serata, è molto interessante. Anche questo è tenue, ma questo è un gran bell'esser tenue, dal momento che una maggiore “durezza” ci avrebbe trascinati nei, comunque amati, lidi della sambucona.
In conclusione: un posto che induce all'incazzo, dal momento che determinate cose funzionano molto bene, ma altre, tenuto anche conto dei 75 euro a testa del conto, proprio no. In due mangioni, bevendo di più e facendo un pasto completo, si supererebbero di un po' i 100 euro, e saremmo decisamente fuori misura: tutto ha un senso, una logica, un metro. Una cena così a 40 a cranio avrebbe goduto di tutt'altra recensione.
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