Prezzo per persona bevande incluse: 49 €
Recensione
Nella cosmogonia di ristoranti utili ve ne sono alcuni che si rivelano utilissimi perché costituiscono un approdo sicuro nell’impegolato mare delle fatue esperienze possibili.
Il Bosco è uno di questi porti saldi e ben stretti da alte mura frangiflutti e le sue mura sono costruite coi mattoni della tradizione.
Anzi Tradizione, valà.
Quindi, cari misoneisti e mangioni storicizzati, questo è locale per voi.
Il locale è dentro un vecchio caseggiato di trenta o quarant’anni fa, direttamente sulla statale che da Reggio porta a Scandiano, poi a Casalgrande, volendo anche a Sassuolo, quindi al distretto ceramico, finanche al nostro bellissimo, spopolato, gloriosamente archeopatico Appennino.
All’interno sale ampie, tavoloni grandi e molto distanziati, ambiente discretamente rustico, vagamente domestico, certamente da relax attavolato, nonostante certe tele modernoidi alle pareti che sfanalano un po’ troppo.
L’apparecchiatura è molto semplice, i bicchieroni compaiono solo se si ordinano certi vini.
La cucina è tutta incentrata sul territorio e su preparazioni tradizionali, le divagazioni in carta sono pochissime e molto molto calibrate.
Per far bene si comincia con i salumi, da accompagnare coi pani proposti, ma soprattutto col gnocco caldo che arriva insieme al suino affettato e stagionato.
Su tutto consiglio il crudo tagliato al coltello, stagionato, consistente, profumatissimo, ma sono sopra media anche il culatello ed il salame, mentre coppa e pancetta sono semplicemente discrete.
Se proprio volete qualcosa di diverso potete chiedere il tortino di zucca col balsamico, è ben fatto e l’aceto che ci versano non è da battaglia.
Per quel che concerne i primi piatti sconsigliamo l’iconoclastia di fuggire il divino binomio tortelli-capelletti, entrambi eseguiti in propria amanuense fattura ed in assoluto rispetto dei mores maiorum: pel capelletto pasta non troppo sottile, dimensione non troppo ridotta e solo manzo nel ripieno, pel tortello dose in cui il verde non sopravanza mai la ricotta, anzi.
Nel caso in cui ancor non vi fidaste potete provare le pappardelle con le rigaglie d’anatra, che sono molto saporite o un onestissima versione di tagliatelle col ragù alla Bolognese, non troppo light, anche se per me il mondo è sempre troppo light da almeno 10 anni…
Tra i secondi da provare lo stracotto di manzo al vino rosso con la polenta, un piatto carico di sapore e di belle consistenze, capace di soddisfare anche i più incalliti procacciatori di colesterolo come me.
Sono discrete le tagliate ed i filetti, ma gli preferiamo il cotechino (quando c’è) o la noce di vitello, che però non abbiamo ordinato perché servita coi funghi e si sa che quest’anno di funghi nel nostro Appennino non ce ne sono, quindi meglio evitare.
Per i dessert si va al carrello, carico di torte e semifreddi, tutti ampiamente giudicati con favore e con la possibilità di assaggi multipli.
Io in particolare mi sono dedicato alla zuppa inglese per la quale ho una insensata passione tipo quella che ho per Cicciolina e devo dire che a Reggio è una delle cinque migliori zuppe inglesi che potete trovare.
La carta dei vini è ben assortita, anche, volutamente, sui Lambruschi e noi lì abbiamo pescato quelli ottimi di Rinaldini.
Due note di commento ai voti: alla cucina ho dato 8, mezzo voto in più di quel 7,5 che sarebbe stato il voto ideale, motivato dal fatto che la cucina è il pezzo forte del locale, ma compensato dal miserrimo 6, invece del giusto 7, che rifilo con delozica indignazione al servizio giacché a tratti inadeguato e disattento. All’ambiente un giusto 7.
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