Poca neve e tanto freddo a Sappada, nel giorno del...

Recensione di del 08/12/2007

Laite

66 € Prezzo
9 Cucina
9 Ambiente
9 Servizio
Rapporto qualità/prezzo: Buono
Prezzo per persona bevande incluse: 66 €

Recensione

Poca neve e tanto freddo a Sappada, nel giorno dell’Immacolata. Ma quanto calore tra le mura di questo ristorante, una bomboniera incastonata all’ombra del Peralba!

Entriamo nel regno di Fabrizia Meroi e Roberto Brovedani, chef e maître del Laite, e diremmo perfino anima e corpo di un piccolo miracolo da venti coperti, dove certamente non si finisce per caso.
Sappada infatti è l’ultimo comune del Veneto, il più lontano da Venezia. Oltre c’è solo la sorgente del Piave, fiume sacro alla Patria, e poi l’Austria. Qui il rosa delle Dolomiti pare ancora più intenso al tramonto, anche se mancano le vette celebri delle valli di Cortina o di Alleghe. Là dominano il Cristallo, la Marmolada e il Civetta; qui le più modeste Terze, o il Siera, che non vanno oltre i 2500 metri, ma ti restano ugualmente nel cuore. Si parla una lingua simile al tedesco, il paese è diviso in borgate e le terrazze della parte antica si sfidano per bellezza, che esplode sotto forma di fiori e legno. Da qui sono emersi i grandi campioni del fondo (chi ricorda i salti di Fauner a Lillehammer, primo davanti a Daehlie nella gloriosa 4x10 km?) e questi due campioni di ospitalità e gusto che ci accolgono alle nove di sera del giorno di festa.

Non è che Brovedani si occupi del servizio. Brovedani è il servizio. Lo esegue a modo suo, magari non impeccabile, eppure c’è e si percepisce in ogni istante. È ben coadiuvato dal personale di sala, nulla da dire: ma quando passa lui tra i tavoli è un’altra cosa. Ha un tono e dei modi, nel raccontare le sue storie di uomini e di incontri tra le vigne, che inevitabilmente catturano l’attenzione. Così, quando passa all’altro tavolo, continui a seguirlo mentre spiega al tuo vicino di sedia come ha scoperto quel tale vino nelle campagne udinesi, e non ti esclude nemmeno per un istante. Infine torna verso la cucina, e per chi resta in sala è quasi inevitabile finire per chiacchierare con l’altro tavolo, superando quella freddezza che talvolta si avverte nei ristoranti di target alto. Chi va al Laite non si sente mai solo.

Questa è la magia del locale: una bomboniera del gusto dove un professionista vero, con intelligenza e passione, ti mette completamente a tuo agio. Così gli perdoni qualche disattenzione, un calice non rabboccato per tempo, un passito chiesto due volte. Sono dettagli: quel che conta è il feeling, la capacità di far star bene il cliente. A tutto il resto ci pensa Fabrizia.

Dalla cucina, la chef del Laite fa uscire subito un bell’omaggio: il salmerino con crema di zucca, dal quale si capisce già che sta per iniziare una bella serata. Poco prima erano giunti in tavola il primo vino e l’acqua, naturalmente di fonte: aprire una bottiglia di minerale qui, con tutto il ben di Dio che esce dalla fontanella (si trova all’esterno, ma in questa stagione è ghiacciata), sarebbe un delitto. I pani fatti in casa sono buoni, ma i grissini – anch’essi prodotti dalla Meroi – hanno una marcia in più.

Siamo in quattro e inevitabilmente ci orientiamo su proposte diverse. La mia inizia con i fagottini ripieni di formaggio di capra che sono una bella cosa ma, visto quel che seguirà, finiranno per sembrarmi il piatto meno riuscito: me li aspettavo leggermente più morbidi.

Con il primo, i manicaretti alle erbe, si entra nell’onirico. Al primo assaggio esce la menta, poi pian pianino si fanno spazio altre sfumature, forse camomilla, forse malva, forse chissà che altro. E mentre le papille gustative vanno a caccia delle erbe di campo contenute in quelle magiche mezzelune, la mente abbandona l’inverno e viaggia verso l’estate, il sole, il fieno messo a seccare nei prati che ora ospitano le piste da fondo.

L’incantesimo svanisce ed è già il tempo della lepre cotta a bassa temperatura, accompagnata da un grande Refosco (Borc Dodon, di Denis e Alessia Montanar). Si dice che la Meroi prediliga la cacciagione, che con queste carni raggiunga probabilmente i risultati migliori. Arriva il piatto e capisci che c’è qualcosa di diverso già nella presentazione, con la lepre disposta nel piatto tra due sfumature di colore che dal rosso acceso scivolano verso il verde, in un contrasto davvero forte e per certi versi audace, istintivo. Il gusto è convincente, penetrante, deciso. La cottura magistrale, anche in virtù di una frollatura portata al limite.

Chiudiamo con un predessert, un misto di dolci (notevole il tiramisu) e infine la piccola pasticceria, quindi fa il suo ingresso in sala Fabrizia per raccogliere i commenti dei suoi ospiti e il giusto riconoscimento per il lavoro svolto. Lo fa in punta di piedi, e si percepisce la timidezza della persona, la voglia di lavorare in silenzio. Davvero brava. La sua è una cucina che nasce dal territorio, dal burro della vicina malga e dalle erbe dei prati sappadini; poi decolla grazie a una tecnica affinata, risultato di una preparazione maturata sul campo, libera da schemi, da autodidatta. Due i maestri: Enzo De Pra, Gianfranco Vissani. Ma solo per periodi brevi di perfezionamento. Tutto il resto lo mette lei, con la sua esperienza e la fantasia. Le cotture sono lunghe, pazienti; il risultato è asciutto ed equilibrato, mai troppo carico.

Usciamo per ultimi, dopo esserci intrattenuti ancora un po’ con Roberto, mentre la chef ha già abbandonato da tempo la cucina. Sta per scoccare l’una del mattino. Chissà quante ore saremmo rimasti ancora. Ma non vogliamo approfittare della gentilezza di Brovedani, alle prese tra l’altro con una bronchite che non gli concede tregua. La domenica a pranzo c’è la sala di nuovo piena, e allora ci congediamo per lasciargli qualche ora di sonno.

Fuori il freddo punge, ma nemmeno troppo rispetto al tardo pomeriggio. Sarà il vino, che per una serie di cose non finisce nel conto. Un’amica di chi mi accompagnava, sapendo della nostra visita al Laite, ci ha fatto trovare una bottiglia offerta. E alla seconda ci ha pensato il padrone di casa. Quindi in quattro andiamo a spendere, senza vino, 266 euro. Il rapporto qualità/prezzo, considerando il livello del ristorante, appare corretto. Si cena soltanto alla carta, ed è un peccato che manchi una traccia di menu degustazione. Il conto comunque riesce a non far male.

Andrea Guolo

Condividi la tua esperienza

Raccontarci le tue personali esperienze è fondamentale per permetterci di conoscerti sempre di più ed offrirti consigli su misura per te. ilmangione non è più un'esperienza statica, ma una potente Intelligenza Artificiale che impara a conoscerti partendo da quello che ti piace.