Prezzo per persona bevande incluse: 149 €
Recensione
Obiettivo del primo week-end di Settembre: regalare al mio grande amore un compleanno fuori dalle righe, speciale ed indimenticabile.
Ed è così che, fra le varie opzioni, la mia scelta ricade sull’Hotel Villa del Quar, splendida dimora patrizia immersa nel verdeggiante paesaggio della Valpolicella, costruita in epoche diverse, fra il periodo Romano ed il Rinascimento, location che fra le innumerevoli bellezze motivo di ammirazione vanta il Ristorante Arquade, regno due volte stellato del grande chef Bruno Barbieri, dal quale ceneremo nella serata del sabato.
La cena è fissata per le 21, ma raggiungendo la veranda attigua alla hall con un quarto d’ora d’anticipo, ci viene servito un aperitivo, un flûte di spumante accompagnato da pistacchi, olive e mandorle salate, e fornita la carta, in modo tale da avere tutto il tempo per consultarla ed eventualmente porre domande al riguardo (servizio già dal principio eccellente).
La carta consta di tre menu degustazione, rispettivamente da 7, 6 e 4 portate (sempre appetiser e pre dessert inclusi) l’uno a 115 euro, il secondo a 95 euro, l’ultimo a 80 euro; per quanto riguarda invece la scelta alla carta, quattro sono gli antipasti, tre le zuppe, cinque le paste, quattro le pietanze a base di pesce e tre quelle a base di carne; eppoi salumi, verdure e formaggi per finire con i ben nove dolci.
Io e Giacomo optiamo per il secondo menu degustazione, “ Di Ritorno dal Mercato “, per il quale il mio compagno domanderà la modifica di un piatto.
Veniamo dunque fatti accomodare in una delle due sale che compongono il Ristorante, la Sala Eurosia, con il soffitto a volte, il mosaico ai pavimenti, le importanti tende azzurre, il portale seicentesco, alle pareti antiche stampe inglesi ed italiane e le quattro bellissime torciere veneziane; i cinque tavoli tondi, ben distanziati l’uno dall’altro sono elegantemente apparecchiate con belle lunghe tovaglie nei toni panna ed oro, sottopiatti decorati, posate in argento e bei bicchieri; comodissime le sedie in legno stile Direttorio.
Ci affidiamo al giovane sommelier per la scelta dei vini, considerata la vastità della lista e la nostra poca dimestichezza di fronte alla stessa: ci accordiamo per due mezze bottiglie, la prima un Monteriolo Coppo, annata 2003, 13% vol., 100% Chardonnay, un vino dal colore giallo paglierino, dal profumo “fragrante” e deciso, dall’elegante sapore fresco e leggermente acidulo, con note di melone e mandarino e tracce di vaniglia donatagli dai nove mesi di barrique; la seconda, un Chateau Beaucastel Chateauneuf du Pape, annata 1999, dal colore rosso scuro opaco, dal sentore di legna bruciata e frutta rossa, di sapore imponente, tannico, molto persistente, dalle note di liquirizia e ciliege.
Ci viene servito un cesto contenente dei grissini e delle croccanti lingue di pane ben salate, e con queste l’appetiser, “profumi e sapori di terra e di mare”: nove deliziosi stuzzicanti assaggi, ovvero un soffice tortino di cavolfiore sormontato da un’alice, un crostino tiepido con sarda, una mini freschissima tartare di tonno, tartufi di mare, un’ostrica, caviale sevruga, farro con cracker, involtino di spada con salsa allo yogurt e tortino di patata con peperoncino verde dolce: al centro del grande piatto su cui poggiano le nove piccole ciotole di assaggi, un bicchierino di bevanda al sambuco, fresco e rinfrescante.
Inizio eccellente, vario nei sapori e nei colori.
Ed ecco il cestino del pane vero e proprio, colmo di focaccia e piccoli pani bianchi ed integrali, che precede di un istante appena la prima portata, l’antipasto, “ ortino di cipolle dorate con insalata di scampi ed olive della Valpolicella, salsa all’acqua di vongole veraci con zafferano“: la dolcezza del tortino, d’un giallo intenso e di consistenza impalpabile, è indescrivibile, e si armonizza perfettamente con gli scampi, tanto nel profumo quanto nel sapore, profumo e sapore che finiscono poi nello “svoltare” verso il mare vero grazie all’acqua delle vongole; le olive, sminuzzate, riportano un po’ alla terra. Delizioso.
Il primo piatto è “Gratin di cannelloni, calamari, pappa al pomodoro, salsa di cipollotti e capesante”, un inno alla dolcezza nella sua totalità, nel ripieno di pappa al pomodoro dei cannelloni, della cui pasta si nota piacevolmente la croccantezza, nei ciuffi dei morbidi calamari, nella tenerezza delle capesante: è più però nell’aroma, che nel sapore, che si “spiega” il cipollotto. Profumato ma non convince fino in fondo.
Il mio secondo è “piccione alla brace con verdure, mostarda di frutta, salsa di fegato grasso, aceto balsamico di Modena, pinoli”, un’altalena di sapori diversi, prima la carne morbida ma dal gusto deciso, poi la dolcezza della mostarda e della salsa, poi ancora l’intensità dell’aceto; i pinoli, ciliegina sulla torta di questa portata, lasciano pensare che nulla è lasciato al caso, ma anzi tutto è studiato e curato fin nel minimo dettaglio. Deciso, di gran carattere.
Per Giacomo, invece, “medaglione d’agnello con pane salittu al basilico, sale alla vaniglia con acqua di pomodoro“: l’agnello tenero e rosa è avvolto da un fetta di pancetta croccante, il pane è un fagottino contenente pezzetti di pomodoro e basilico sopra cui viene versata l’acqua di pomodoro ad ammorbidire: a detta del mio compagno buono sia il gioco di consistenze che l’alternanza di sapore, squisito l’aroma, ma nell’insieme il piatto non “stupisce”.
A questo punto la cucina ci omaggia di un fuori programma strepitoso, una freschissima insalata di ovuli, tagliati a fette sottilissime, arricchita da poche scaglie di parmigiano: sublime, ogni boccone è una delicata elegante nuvola che si scioglie magicamente in bocca. Raffinato e sensuale.
Arriviamo così al pre dessert, “spuma al limone, gelato al maracuja, salsa al vino rosso e pistacchi”: il gusto è fresco, freschissimo, non eccessivamente dolce, deliziosa la nota acidula della salsa al vino ed intrigante la presenza dei saporiti pistacchi. Spumeggiante.
Con il dessert ci viene proposto (e solo da me accettato) un calice di Torcolato Maculan, 85% Vespaiolo, 10% Tocai, 5% Garganega, 13% vol., nettare dal colore caldo dell’ambra, dall’aroma di miele e vaniglia e fiori, dal sapore dolce pieno e persistente, con una leggera nota amarognola nel finale.
Il dessert, “Budino di yogurt con cuore di lampone e salsa di sambuco, croccante di cioccolato e granella di amaretti”: splendido il budino, compatto, corposo, dal sapore “vero” di yogurt, impreziosito dalla colata di lampone che racchiude dentro di sé. Non ho saputo altrettanto apprezzare il croccante di cioccolato, non sono riuscita a coglierne il “perché”, l’ipotetico completamento o l’ipotetico contrasto al budino. Comunque piacevole.
Siamo ai due ottimi caffè, che ci vengono serviti con una buona varietà di zuccheri (raffinato, di canna, dolcificante, in cristalli) ed un’alzata di petit fours, fra i quali, ahimè, sono riuscita ad assaggiare soltanto uno squisito cioccolatino ripieno al caramello.
Conto finale, 298 euro, di cui 190 per i due menu, 70 per le due mezze bottiglie di vino, 8 per il vino al calice, 12 per l’acqua, 18 gli aperitivi.
In tutta onestà, il Ristorante Arquade è la mia prima esperienza di locale pluristellato, e confesso che mi ci sono avvicinata con numerose aspettative e per certi versi addirittura con una certa “emozione”.
Le aspettative non sono state quasi mai deluse, e l’emozione mi ha piacevolmente accompagnato durante tutta la serata: il servizio impeccabile, la bellezza della sala, l’atmosfera da fiaba, le mille attenzioni e le “coccole”, del servizio e della cucina; non mi sento però purtroppo di dare un 10 pieno a quest’ultima: per quanto difatti nella quasi totalità del suo “essere” ha saputo pienamente conquistarmi, nella grande pregevolezza delle materie prime, nella cura per certi particolari, nella creatività delle preparazioni, trovo che abbia inciampato un poco in più d’un’occasione; ora, so di rischiare d’apparire maniacalmente cavillosa, ma da un locale del genere, per ciò che mi riguarda, mi aspetto quanto di più vicino ci possa essere alla perfezione. O quasi.
Ad ogni modo ribadisco ancora una volta d’essere una “novellina” in proposito, e ci tengo a precisare che il mio parere rimane, in fin dei conti, pur sempre soggettivo e dettato unicamente dal mio personalissimo gusto e dalle mie altrettanto personalissime sensazioni.
Il 9 alla cucina è comunque, “in realtà”, un 9+. Dovere di precisione.
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