Prezzo per persona bevande incluse: 275 €
Recensione
Avevo adocchiato il Pagliaccio già nel lontano 2005, frenato all’epoca da un menu degustazione intorno ai 45 €, troppi per le mie tasche di universitario. Nel corso degli anni ho assistito da lontano alla prepotente escalation nei giudizi delle guide, al successo tra la clientela e all’inevitabile esplosione dei prezzi. Preoccupato dalle due stelle Michelin, ho deciso insieme alla mia compagna che era arrivato il momento di regalarci quest’esperienza.
Chiaramente le aspettative, nutrite da anni di attesa, erano altissime. Probabilmente troppo alte, visto che a mente fredda continuo a collocare questa cena, comunque da ricordare, un gradino sotto altre esperienze fatte in locali di questo livello. Questa mia sensazione risente sicuramente anche dell’oggettiva distanza tra i miei (personalissimi ed opinabili) gusti e lo stile di cucina di Genovese, così come dell’entità del conto, ampiamente preventivata ma comunque astronomica.
Complice la lunghezza del menu degustazione Anthony Genovese con relativi vini in abbinamento (ma anche la serata speciale in cui non era il caso di prendere appunti) vi risparmio l’elenco completo di quanto mangiato, limitandomi ai piatti che mi hanno colpito di più. Ecco, il “problema” è proprio nel fatto che ce ne sono almeno un paio che non mi hanno colpito affatto: penso all’involtino di ricciola affumicata, una sfera fritta di concezione molto orientale ripiena di ricciola, anguilla e pomodoro, completata da un’emulsione di agrumi, o alle sfoglie di pasta, pomodoro al forno, baccalà, germogli e fiori, preparazioni vagamente ripetitive e, per me, assolutamente poco persistenti al limite del banale.
Non posso certo lamentarmi, perché mi sono arrivate anche piccole perle, come i due piatti iniziali. I delicati gamberi rossi crudi, crema di pesca tabacchiera, insalatina di erbe e la sorprendente idea dell'oriente: calamaro ripieno, crema di riso al cocco: il calamaro è presentato in due cotture, il corpo ripieno di manzo e verdure croccanti a mo’ di involtino primavera ed i tentacoli fritti. Anche il riso è presente sotto diverse forme, riso venere, soffiato, crema. Chiude il piatto un sorbetto al lime, per sgrassare. In abbinamento un eccezionale sakè artigianale di cui purtroppo non ricordo il nome.
Il viaggio in estremo oriente è proseguito con i dim-sum di seppia e taccole, tè Assam, che all’assaggio non ci avevano particolarmente colpito ma che poi hanno manifestato una straordinaria persistenza al palato, per chiudersi solo all’ultimo piatto della parte salata, un tataki di fassone. Fantastica la qualità della carne, esaltata dalla cottura a freddo e dalla marinatura, servito con una melanzana gratinata con le mandorle, crema di sesamo e anacardi che la mia ragazza ha alquanto apprezzato. Perfetto complemento al piatto la ciotola di brodo freddo di anguria, fiori ed erbe servita a parte, tanto che non abbiamo quasi toccato lo shiraz propostoci in abbinamento.
Nel corso della serata non sono mancati altri piatti interessanti. Sicuramente gli gnocchi di patate ripieni di ricotta di pecora, zuppa di pesce e ricci di mare, con il lime candito ben calibrato per condurre il palato dall’iniziale esplosione dovuta al formaggio alla delicatezza del riccio. Ma soprattutto i fagottini di pasta di mandorle, 'nduja e fichi, per me il piatto con più personalità della cena: il velo spumoso di vaniglia presente su ogni fagottino prepara la bocca alla successiva esplosione, che non è solo di piccante. A latere una commovente burrata pulisce il palato senza cancellare i sapori. Molto netta invece la sensazione di mare nel rombo al vapore di alghe, cozze e spuma al nero, con il quale siamo tornati sul registro “delicato” che ha dominato tutta le cena.
Discorso a parte merita la conclusione dolce del menu, che sospetto essere iniziata già con lo snack di formaggi italiani, un notevole bacio di dama composto da due cupole rispettivamente di pecorino e parmigiano, con in mezzo un blue e a guarnire lamponi e mela. Forse esagerato pensare di abbinarci un calice di Torrette (il nono vino?). Marion Lichtle ci ha deliziato poi con un superlativo sorbetto alla birra e pesche, pesche sciroppate e cialda di cioccolato, abbinato con un Moscato d’Asti, per poi chiudere in bellezza la cena con il cheesecake di Marion, fichi arrosto. Semplicemente la pastafrolla più buona che io abbia mai mangiato, con il frutto servito arrosto, in marmellata e in gelatina.
Ogni piatto è stato accompagnato da un calice di vino diverso, pescando prevalentemente tra Italia e Francia (peccato non aver segnato il nome di almeno un rosato e dei due Riesling, tra cui uno della Mosella). Abbiamo apprezzato, oltre alla simpatia e al modo di porsi informale di tutto il personale (preparato e disponibile anche per la descrizione dei piatti), l’attenzione a tarare il percorso enologico sui nostri gusti. Particolare non trascurabile, gli abbinamenti sono stati tutti centrati nonostante piatti autosufficienti, certamente non pensati per essere accompagnati da un vino (di cui in effetti avremmo fatto in alcuni casi a meno: tataki di manzo, snack di formaggio, sorbetto finale). Un modo tra l'altro di contenere il prezzo della proposta al bicchiere, veramente elevato.
Ma allora, cosa non mi ha convinto? Al di là dei singoli piatti, ho trovato la parte salata della cena un po’ monocorde, senza sufficienti variazioni: forse anche per questo ho apprezzato le sferzate date dalla ricotta di pecora negli gnocchi o dalla ‘nduja nei fagottini. L’utilizzo continuo di spezie, lime e zenzero, in preparazioni molto delicate, mi ha dato l’impressione di appiattire le differenze anche in presenza di piatti sulla carta molto vari, ora a base di crudo, ora fritti, ora marinati. Mi è addirittura venuto il dubbio che il menu fosse troppo “estivo” per incontrare perfettamente i miei gusti, tanto che mi è rimasta la curiosità di provare qualche piatto di Genovese in versione invernale, più naturalmente tutti i dolci della Lichtle. Personalmente non andrei oltre l'8,5, ma riconosco l'originalità di una cucina che in termini assoluti vale sicuramente un nove.
Tutto questo in un ambiente moderno ed elegante, per un conto di 550 €, di cui 310 € per i menu, 230 € per l’accompagnamento al calice ed i restanti per acqua e mi sembra un caffè.
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