Capita di aver suonato in giro la sera prima, e di svegliarsi con quel vago senso di colpa che ogni uomo ha quando ha fatto qualcosa per sé, e per il proprio esclusivo godimento (oltre a quello, ovvio, di pochi fidatissimi fratelli musici). E, conseguentemente, capita di proporre alla paziente mogliera, al risveglio, una giornatina di shopping. Con due attenuanti grosse così: ho la fortuna di avere una moglie molto poco spendacciona (anche se la piccola figlia sembra dirigersi in tutt'altri lidi, fatti di richiestine a punta di dito e pretese da bancomat) e di abbinare ad ogni trasferta un giusto e sacrosanto approdo culinario.
Senza l'approdo culinario, di fatto, non esco neppure di casa. Forse non mi alzo neppure dal divano.
Quindi stiamo parlando di concessioni, sì, ma fino a un certo punto.
L'ultima volta che ci s'è dedicati allo shopping pavese (quant'è bella, Pavia, da quando non si sentono più i tremori universitari), siamo finiti alla Torre degli Aquila, posto bellino, centralissimo, probabilmente anche valido, ma dove ci hanno servito degli imperdonabili tortelli di zucca palesemente scongelati da poco, mandando irrimediabilmente in vacca qualunque valutazione positiva.
Dunque, questa volta, si decide per un classico culinario, ancora non provato, posizionato nello splendido Borgo Ticino, piccolo gioiellino che pare quasi una piccola scenografia da italian-movie in puro stile sixties/seventies. È il fascino dell'immobilità (starò diventando vecchio, probabilmente, anzi: è certo, ma è un fascino che provo sempre di più).
Vediamo parecchie cosine interessanti, ma l'istinto, il senso di ragno da osteria (quello che difficilmente sbaglia, ed è allenatissimo) si dirige dritto dritto senza esitazione alcuna verso la Trattoria Ferrari, posto davvero molto bello dove, appena entrati, si percepisce un meccanismo oliatissimo e perfettamente funzionante. È una bella sensazione, sia che la si provi in una fabbrica, in un ufficio, in un trio jazz o in un ristorante.
Qui sembrano esser tutti uomini, e gentilissimi. Dal sapore, dalla quantità e dalla golosità dei piatti si ha la sensazione di una prevalenza maschile anche in cucina, ma, si sa: sono io che di fondo son un maschilista.
E comunque partiamo con gli antipasti misti, caldi e freddi, che sono uno più buono dell'altro (dai ciccioli al tortino di riso, dalla polentina con fonduta al cotechino, e mille altri manicaretti che ora non ricordo, complice il passar del tempo tra la mangiata e la recensione (vizio di quell'imperdonabile arterio che sono). Ma garantisco che il ricordo del giro di antipasti è, a dir poco, entusiasmante.
Nei primi si vola altissimo: il risotto con la zucca e il taleggio di mia moglie è assolutamente perfetto (tanto che la nostra piccola figlia ci si lancia sopra, lasciando senza guardia, ah la gioventù, i suoi ravioli con lo stufato, decisamente il piatto migliore della giornata).
I miei tortelli di zucca sono di ottima fattura, ma un mezzo voto sotto i primi piatti delle mie commensali.
Poi, data la gustosità e la generosità delle splendide portate, e soprattutto dato che si trattava di una pausa pranzo (il che, ontologicamente, significa “altra mezza giornata da stare in piedi”), s'è deciso di passare al caffè.
Bevuto mezzo frizzantino in caraffa. Fresco e buono. Caffè e saluti.
Conto sui 25 a testa. Facendo la giusta media tra locale, trattamento e qualità delle portate, direi che si tratta di un posto gustoso, rassicurante, piacevole e a buon prezzo.
Da rivisitare di sera, magari con amici, con l'astemio di rito al volante e tanta, tanta fame.
Ho la sensazione che si tratti del posto giusto.
