Prezzo per persona bevande incluse: 50 €
Recensione
Approfitto di un’occasione di lavoro per prenotare una cena in questo ristorante certo non di tradizione, ma che mi incuriosisce nelle definizioni di cui ho letto: gastronomia innovativa del grande sperimentatore Mario Avallone nel suo trendy locale vicinissimo alla zona dello shopping griffato. Un’alternativa alla Napoli tradizionale, ai friarielli e alla pizza, (pur sempre irrinunciabili), ma che per una sera valgono un tragitto solitario in taxi.
Abbandonata la Via Chiaja, nonostante la vicinanza topografica, per un istante si riesce persino a dimenticare la città chiassosa, le strade affollate, le luci stridenti e ci si imbatte in una traversa in salita dove regna una quiete angelica: inaspettata oasi di pace metropolitana così scenografica nell’alternarsi di balconate verdi, panni stesi ad asciugare, lampioni fiochi che accompagnano il percorso. Al termine di una breve salita ecco sulla sinistra l’ingresso quasi nascosto della “Stanza del Gusto”.
Si suona, un gentile cameriere mi accoglie sorridente, si accerta della prenotazione e mi scorta al tavolo, dimenticando il cappotto.
Il locale è piccolo ma accogliente: si compone di due salette con pochi tavoli, ambiente raccolto e ovattato dove prevalgono i toni del giallo e del verde alle pareti in un gioco di righe piacevole alla vista. Il pavimento è in cotto, sporcato da strati casuali di porporina mille colori. Le luci sono soffuse affidate ad applique discrete, vetrinette in legno e mobili di servizio sono sparsi a riempire i pochi angoli vuoti.
L’apparecchiatura è divertente ma non pesante: tovaglia color salvia su una sottotovaglia di una tonalità più scura, sottopiatti artistici coloratissimi, calice per il vino, un bicchiere quadrato per l’acqua, posate Arthur Krupp.
Mentre studio la carta, giunge un piccolo benvenuto dalla cucina: un cucchiaino di formaggio con crema alle zucchine, un crostino con spuma di mortadella piccante e un goloso fagottino di pasta brick con ricotta profumata al timo. Stuzzicante inizio.
Il menu, confezionato a mano e artisticamente decorato, si articola in più scelte ed è caratterizzato da un titolo vero e proprio per ogni piatto nonchè, nota originale, dalla data di introduzione in carta. Alcune creazioni hanno già diversi anni di collaudo, altri sono recentissimi. Prevalgono ingredienti vegetariani con una strizzatina d’occhio al pesce.
Ordino dell’acqua minerale naturale e un Falanghina Cantina del Taburno 2006, profumato e persistente. Il cestino del pane non è, invece, particolarmente degno di nota.
Ciro, cameriere ammaliatore che si occuperà di me per tutta la serata e mi terrà divertente compagnia, descrive ogni singolo piatto con verace entusiasmo.
La mia prima scelta si intitola Lemonpast. Sono degli spaghettini di Kamut integrali serviti con alghe e polpa di riccio. Serviti in una fondina, sono cosparsi di un’impalpabile spolverata di zest di limone e un’abbondante grattugiata di pepe. Ogni boccone è puro mare. Le note di contrasto tra il salato dell’alga, l’acido del limone e il dolce del riccio sono perfettamente calibrate e solleticano ogni sensazione palatale. Per niente prevaricante, anzi azzeccatissimo il connubio con il retrogusto amarognolo di noce della pasta di cereale. Ottimo.
A seguire: tonno e fragole. Questa combinazione forse più anonima risulta meno riuscita e troppo stucchevole. Il tonno è appena scottato, servito in piccoli tranci speziati, si accompagna a un coulis di fragole davvero troppo dolce e a pezzetti di frutta che avrei forse gradito maggiormente in una composizione di crudo. Materia prima ottima. Da implementare.
Infine una tazza di cioccolato, delicata mousse al pepe rosa sormontata da una crema di ricotta che conferiva una nota acida molto gradevole.
A seguire un caffè gentilmente offerto.
Conto complessivo di 50 euro. Nella media (per chi è abituato a conti milanesi). A Napoli è ritenuto caro. Rapporto qualità/prezzo direi dunque nella norma.
Ritenuto il tempio della nouvelle cuisine versione napoletana, certo stuzzica per gli aspetti innovativi, la grande attenzione ai dettagli, in una città come Napoli, fatta di contrasti, dove gli opposti si attraggono e si amalgamano. La sperimentazione merita ulteriori verifiche e risulta ancora in progress. Forse tra le inflazionate proposte fusion che tanto successo riscuotono nel Nord Italia, sarebbe preferibile orientare la sperimentazione e la ricerca verso ingredienti locali, coniugando davvero tradizione e innovazione senza cadere nella tentazione di imitare o peggio emulare male alcune correnti. Da riprovare (la prossima volta in compagnia).
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