Prezzo per persona bevande incluse: 40 €
Recensione
Avete mai utilizzato un bancomat per accedere a un ristorante? Se volete provare quest’esperienza, andate a Monza da Chiarantini. Ma se non possedete un bancomat, e nemmeno una carta di credito, nessun problema: basterà una qualsiasi fidelity card con banda magnetica, tipo la Fidaty dell’Esselunga per intendersi.
L’ingresso di Chiarantini infatti è lo stesso di una banca: per varcare il cancello serale, occorre strisciare la card, che fa scattare il meccanismo automatico di apertura. E nello spiazzo interno ecco apparire il ristorante. Di giorno arriva a 150 coperti tra pasti convenzionati e non, alla sera è molto più intimo e il signor Chiarantini, presente in sala, può dedicarsi a qualcosa di più ricercato.
Cena per due. Si incomincia con un calice o anche due di prosecco della Carpenè Malvolti, ad accompagnare qualche crostino toscano con il paté e un prosciuttino che va giù che è una meraviglia. In sala siamo praticamente da soli, tranne un tavolino che ben presto sarà lasciato libero. L’ambiente è stato ampiamente descritto da altri mangioni: trattoria con tovaglie di carta e odori persistenti di cucina. Mettere in preventivo una bella lavata ai vostri capi, ma in questa sala si sta bene.
Decidiamo di ordinare quel che vuole il Chiarantini. Rifiutiamo soltanto la bistecca, troppo impegnativa per una cena infrasettimanale, e cominciamo con un tortino di asparagi con mazzancolle che piace senza troppo convincere (ah, la materia prima!). Segue una golosa melanzana alla parmigiana con la salsa al basilico (quest’ultima troppo delicata, quasi impercettibile). Il commento di chi mi accompagna è: non male. Sottoscrivo.
Accompagna il tutto un buon Chianti. Se deve essere una cena toscana, che toscana sia.
Il primo è una botta di vita contadina: la crema di verza con il crostone di pane e la ricotta di pecora bella fresca, quasi un gelato. Un bel filo d’olio, la canonica grattata di pepe e la serata si scalda. Ogni tanto il Chiarantini, che a casa mia non esiterebbero a definire un “ciaciaron”, si ferma al tavolo per raccontarci i fatti suoi. Data la compagnia, esteticamente piacevole, ne avrei fatto anche a meno. Ma l’esito della serata è già scritto (ognuno a casa propria) e dunque ben vengano le chiacchiere.
Tocca al secondo. Nella vita è dura resistere alle donne, figuriamoci a un bel piatto di baccalà! Chiarantini lo serve alla livornese, fritto e ripassato con pomodoro e aglio. Approvo e ringrazio, anche se occorrerebbe il cambio di vino. Ma il medico disapprova (prima o poi lo cambio) e allora que viva el agua, anche se arrugginisce. Chi mi accompagna va sulla faraona con funghi porcini: pare più che discreta, me ne tengo distante.
Si chiude con un tortino al cioccolato e crema, solita bomba calorica, accompagnato da un paio di calici di Grecale, alla faccia del dottore.
Arriviamo alla cassa. “Fate voi il prezzo”, dice il Chiarantini. Venti euro a testa, vorrei proporre, giusto per provocare. Mi taccio e aspetto la sentenza: quarantacinque, scontato quaranta, ottanta in due. Rapporto qualità/prezzo corretto per il costume monzese, in un centro storico dove non è difficile per la stessa cifra doversi sorbire delle autentiche porcherie. Saluti, ringraziamenti e promessa di rivedersi prima dell’estate. I voti? Vada per un sette generale, con una nota di merito fin troppo facile al servizio (un uomo, un tavolo) e un punticino per la simpatia del ristoratore, che promette di combinarne altre di qui in avanti. Usciamo senza strisciare nient’altro e via, a spasso per la città notturna, morta come sempre. Eppure bella.
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