Erano quasi tre anni che non andavo al Ta-Hua, storico ristorante cinese “di nuova generazione” a Milano. Ho deciso di tornarci per una sera, e devo dire che le novità sono state molte, non tutte positive. Innanzitutto il giovane che mi ha accolto verso le ore 20.00 mi ha detto: “niente prenotazione? Ho un tavolo, ma alle nove deve lasciarlo, ok?” Ero quasi certo che avrei finito entro quell’ora, ma che pena mangiare guardando in continuazione l’orologio, in una serata in cui avevo proprio deciso di rilassarmi.
L’ambiente non è proprio quello che mi ricordavo: luci soffuse, musica tranquilla, camerieri cinesi pazienti e sorridenti, sobrietà e relax. Qui vieni accolto in una sala molto luminosa, con tavoli vicinissimi uno all’altro, con molta gente, molto rumore e musica che niente ha a che fare con quella cinese. I camerieri sono gentili, ma sono tre italiani, un egiziano e altri di nazionalità orientale; tutti sempre molto indaffarati e di corsa. Quelli italiani trattano i clienti da “vecchio compagno di bevute”, saluti ad alta voce da lontano, pacche sulla spalla, baci. E veniamo al menù.
Ordino un involtino Mu-shi e mi viene portata una crêpe sottilissima piena di verdure. Io avevo già provato il piatto e avevo un ricordo di un aroma delicato di funghi e vegetali dal gusto sfumato (e gli involtini erano due): ora pare che il mio involtino sia ripieno solo di cipolle e rapa fritte.
Come secondo ordino tonno scottato al sesamo con contorno di riso alla Ta-Hua (consigliatomi dal cameriere). Il tonno è davvero buono, una delizia di fettine di tonno sottili che si sciolgono in bocca con una salsa delicata che ne esalta il gusto. Il riso è una rivisitazione del riso alla cantonese, ma con carne e gamberi in aggiunta: buono comunque.
Da bere prendo tè verde, ottimo, anche se mi viene servito in bicchiere e non in teiera che consentirebbe di tenere al caldo la bevanda; e infatti si raffredda subito e devo ordinarne un altro, che poi non mi verrà fatto pagare. Il tempo stringe, ahimè, ma decido di prendere anche il dessert. Chiedo al cameriere di portarmi la carta, e invece me lo vedo arrivare con un piattone di legno pieno di coppette di vetro che fungono da “campione” per il dessert che si desidera scegliere. La trovata non è di mio gusto, anche perché avevo deciso di ordinare un dolce orientale, palline di riso al vapore con arachidi, e queste non figurano nel campionario. Il cameriere mi dice che non c’è problema, arriveranno lo stesso. Attendo speranzoso e dopo venti minuti chiedo un sollecito; io non avrei problemi, ma sono ormai le nove meno dieci e so che dovrò lasciare la postazione. Il dessert arriva, molto buono, di mia piena soddisfazione e con tante scuse da parte del cameriere per l’attesa.
Per pagare il conto devo alzarmi e andare alla cassa perché la fila di gente in attesa sta diventando pressante. In tutto spendo 32 euro. In conclusione: niente da discutere sulla cucina, molto buona davvero, e sulla pulizia, tra l’altro la cucina è a vista, cosa che la rende particolarmente “affidabile”. Il costo è davvero basso, di questi tempi. Quel che davvero manca, e che rimpiango del vecchio Ta-Hua anche dopo la sua prima ristrutturazione, è l’atmosfera dolce, pacata, rilassante, orientale che si aveva una volta e che mi fa decidere di passare una serata ogni tanto in un ristorante cinese. Ora il luogo somiglia sempre di più a uno dei tanti locali “di tendenza”: affollati, rumorosi, alla moda e molto molto occidentali. Sicuramente il locale ha successo, basta vedere quanta gente ci entra in una serata feriale, ma un po’ di nostalgia me la concedete?
