Prezzo per persona bevande incluse: 45 €
Recensione
Il “4cento” nasce come antica foresteria del convento di Castellazzo ed è una struttura che risale al ‘400 - come il nome ricorda - perfettamente ristrutturata e incastonata in un ampio e curato giardino.
Situato alla prima periferia di Milano, vi si giunge abbastanza facilmente seguendo la direzione di Viale Cermenate dall’uscita Famagosta dell’autostrada per chi, come noi, proviene dalla A7. La guida del navigatore si rivelerà comunque oltremodo utile essendo il ristorante nascosto in una viuzza laterale buia e senza indicazioni. Il parcheggio è agevole ai lati della costruzione, non è ampio ma si trova facilmente posto, specialmente ad inizio serata.
Un piccolo viottolo illuminato con faretti da terra segnapasso conduce all’ingresso del locale. La stagione purtroppo non consente di usufruire del piacevole dehors, usualmente adibito a spazio per aperitivo e happy hour. Anche se l’illuminazione è scarsa, è possibile scorgere alcuni particolari del giardino, come ad esempio delle strane sculture in pietra di forma sferica sparse qua e là.
All’ingresso è presente un piccolo spazio lounge per sorseggiare l’aperitivo in attesa di accomodarsi al tavolo: non si viene accolti dal personale, per cui intuiamo di dover lasciare i cappotti in una piccola e gelida stanzetta sulla destra adibita a guardaroba. Ci avventuriamo quindi un po’ spaesati verso la sala contigua che ospita il bel bancone del bar retroilluminato: l’atmosfera è calda e piacevole. In sottofondo una musica di intrattenimento che, scopriremo più tardi, è stata raccolta in un CD che porta il nome e il logo del locale.
Finalmente un cameriere ci aiuta a raggiungere il tavolo della nostra prenotazione per due. Vi sono quattro sale in tutto, di cui una per fumatori. Particolarmente suggestiva è la sala più grande, con affaccio sul giardino attraverso un’ampia vetrata a tutta parete.
L’ambiente è minimalista, ma allo stesso tempo caldo e avvolgente: tonalità prevalenti del marrone alle pareti, in parte stuccate e in parte lasciate in mattoni a vista; travi in legno al soffitto, pavimento in pietra scura. L’illuminazione è molto sobria, affidata a punti luci rappresentati da vere e proprie sculture in acciaio pendenti dal soffitto fino a terra, che ricordano in qualche modo dei covoni di spighe stilizzati. In più punti ricorre il leit motif del locale, un ramo stilizzato su fondo scuro, che si può vedere ad esempio appeso alle pareti in forma di grandi sculture in metallo nonché sui menu.
I tavoli sono piccoli, ben distanziati. L’apparecchiatura è essenziale: runner di stoffa cangiante color salvia con tovaglioli in tinta, piatti e posateria di non particolare pregio, l’immancabile candela. Sedute imbottite piuttosto comode.
Mentre diamo una scorsa alla carta, ci viene portata con solerzia dell’acqua naturale e il cestino del pane con due sole varietà: del banale pane bianco e pane integrale alle noci a fette, non particolarmente croccante.
Il menu prevede un’ampia scelta di antipasti, primi e secondi piatti, con un occhio di riguardo per il pesce. Dopo lunga e attenta meditazione decidiamo per quattro antipasti, ben più invitanti e sfiziosi, a nostro parere, dei secondi piatti proposti.
Il cameriere che raccoglierà un po’ impaziente le nostre ordinazioni si rivelerà anche piuttosto invadente e deciderà quasi autonomamente di tramutare due delle nostre scelte in un secondo piatto denominato “Gran misto di mare”, che, a suo dire, aveva il pregio (anche economico) di raccogliere quasi tutte le opzioni offerte come antipasti. Un po’ intontiti dalla spiegazione, decidiamo di affidarci alla raccomandazione.
Anche la scelta del vino sarà pilotata dal deciso cameriere e si rivelerà non particolarmente fortunata: un Costa d’Amalfi Furore bianco del 2005, molto profumato, leggermente prevaricante sui piatti.
Per partire assaggiamo:
“Sauté di calamari farciti al Greco di Tufo e pomodori pachino”. Preparazione abbastanza delicata, sapida e ben calibrata, guazzetto gustoso. Voto 6,5
Il famoso piatto di pesce misto risulta così composto:
“Tartare di tonno alle piccole verdure e misticanze”, forse la proposta migliore, soprattutto in termini di qualità delle materie prime. Voto 7.
“Gamberi fritti”: buoni, nonostante la pastella leggermente spessa, voto 6.5. Mancavano, invece, senza che ce ne sia stata data giustificazione, i piccoli fritti di fiore di zucchina farciti di ricotta e basilico presenti in lista e che tanto aspettavamo.
“Carpaccio di tonno rosso e di salmone marinati all’aneto”. Ricorrevano ancora una volta le piccole verdurine sminuzzate in accompagnamento alla tartare, piuttosto dozzinale la qualità del pesce. Voto 5.
“Gamberi crudi in salsa di limone e menta”, discreti, soprattutto per la nota gradevole e fresca della menta, ma troppo pungente l’olio scelto per il condimento, voto 6.
A seguire due scampi crudi, nella media, e due ostriche fine de claires assolutamente anonime.
Il tutto offerto per la non modica cifra di 30 euro, in quantità sufficiente per un solo commensale.
Terminiamo la cena con dei “bignè farciti alla crema di castagne con salsa al caffè e cioccolato fondente”, golosi anche se leggermente stucchevoli. Peccato per la totale assenza della crema al caffè menzionata e per la secchezza della pasta choux. Voto 5,5. Infine due caffè.
Abbiamo speso 84 euro cosi ripartiti: 3 euro a testa per il coperto (!), 22 euro per il vino e 2,5 per l’acqua, 30 euro per il piatto di pesce, 16 per il sauté, 7 per il dessert. Decisamente un rapporto qualità prezzo sproporzionato.
Servizio non particolarmente efficiente, specialmente quando la serata ha cominciato a “ingranare” e i clienti a farsi più numerosi. Ribadisco di non aver apprezzato molto l’invadenza del cameriere, che ha sostanzialmente deciso le sorti della nostra cena.
Sicuramente un locale dove vale la pena andare per il gusto e l’originalità dell’ambiente, magari per un drink dopo cena o per l’aperitivo all’aperto nella bella stagione, ma che non mi sento certo di consigliare per una cena.
Peccato si debba spesso scendere al compromesso di dover scegliere: o il bel locale (come si dice, “trendy”, o quanto meno “particolare”) o, in alternativa, la buona cucina e sempre più difficilmente riuscire ad ottenere il giusto equilibrio, il connubio ottimale…
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