Prezzo per persona bevande incluse: 190 €
Recensione
La mia professoressa di matematica delle superiori era veramente appassionata della sua materia. Tanto “innamorata” dei numeri, da arrivare al punto di suddividere un compito in classe in, mettiamo, quattro esercizi. Il voto massimo (il 10) veniva diviso per quattro. Ogni esercizio, quindi, “valeva” da 0 (esercizio completamente sbagliato o non eseguito) ad un massimo di 2,5 punti (esercizio svolto perfettamente). La somma dei voti data ai vari esercizi costituiva il punteggio finale, che quindi poteva variare da 0 a 10, risultato “tecnicamente” raggiungibile. Io, che ero “abbastanza bravino”, arrivai un paio di volte al 9, ma il 10 era, da tutti, considerato irraggiungibile. Quando frequentavo la quinta, accadde “l’impossibile”. Qualcuno, in quarta, prese un 10.
Ricordo che quelle quattro pagine, senza un errore, senza incertezze, senza nemmeno una piccola cancellazione, passarono tra le mani di tutti gli studenti della sezione, che le guardavano increduli. All’epoca si dava un voto ed un giudizio. La professoressa aveva scritto con una penna rossa unicamente questa frase: “10! Perfetto!”.
Nella concezione del “mangione consapevole” (cioè tralasciando chi dà entusiastici 10-10-10 alla “Premiata Friggitoria BimBumBam") il 10 non si dà mai! Perché quel voto ti toglie ogni margine di miglioramento: se dò 10 alla cena nel ristorante di “Tizio”, e poi vado nel locale di “Caio” e mangio meglio, che voto gli potrei dare, per premiarlo maggiormente? E poi, suvvia! La perfezione non esiste!
Nella concezione della mia geniale professoressa, quando tutti gli esercizi “piatto/servizio” in cui è (s)composto quel particolare “compito in classe” menu/cena (quello e solo quello, considerato individualmente) vengono “svolti” senza errori, senza nemmeno “una piccola cancellazione”, una sbavatura, e il risultato è estremamente soddisfacente per le papille gustative, il voto finale non può che essere “10! Perfetto!”.
Martedì sera, 4 febbraio 2009 uscendo dal locale “Il luogo di Aimo e Nadia”, dopo una cena con un altro “mangione DOC” ed un terzo commensale, amico suo, non ho potuto fare altro che pensare: “10! Perfetto!”
Più giù vi “copio e incollo” il menu. La descrizione del piatti è talmente particolareggiata che non servono altre parole per descriverli. E vi rimando alla recensione di scogghi, per una valutazione più approfondita dei singoli piatti e degli “extra menu” serviti: benvenuto della cucina, pre dessert, ecc.ù
Qui vorrei solo cercare di descrivere le sensazioni che ho provato, al limite della “esperienza mistica”. Confortato in questo dalle analoghe sensazioni degli altri due commensali.
Ad ogni portata che arrivava ci guardavamo l’un l’altro, cercando “conforto” alle nostre impressioni, nelle espressioni di entusiasmo degli altri due commensali.
So che queste frasi potrebbero sembrare esagerate (addirittura un’esperienza mistica! Ma andiamo!). Ma ho messo di proposito quel preambolo iniziale per far capire ciò che, in tre, abbiamo provato: ogni piatto era semplicemente da “10! Perfetto!”. Nessuna caduta di tono, nessun difetto, nessun ingrediente che stridesse o che fosse fuori posto (“nessuna cancellatura”!). Pur nella grande eterogeneità degli ingredienti di alcuni piatti. Semplicemente delle sensazioni, olfattive, sensoriali e gustative che raramente mi è capitato di avere, e mai tutte nella stessa serata, tutte nella stessa cena.
Ecco il menu.
Scampone crudo al profumo di ginger fresco con insalata d’arance bionde siciliane e rapa bianca.
Filetto di baccalà marinato al miele d’edera, passito di Pantelleria e coriandolo, su panzanella di verdure di stagione.
Tartara di culatello di Cinta Senese e vitellone fassone crudo al tartufo nero di Norcia con composta di limoni della Costiera.
Consommè di gallina di Morozzo profumato alla verbena con tortelli di squacquerone, prosciutto affumicato e aceto balsamico.
Fettuccelle fresche di farina di ceci e semola di grano duro con pernice stufata, funghi porcini secchi dell'Abetone e pinoli di Pisa.
L'agnello della Val Bisalta: lombata farcita al carvi e caffè, animelle croccanti profumate alle erbe.
(As)saggio-anteprima dal Laboratorio del dolce contemporaneo. L’origine del dolce di Aimo e Nadia. Progetto in-progress a più menti di Fusto, Moroni, Negrini, Pisani.
Prendete il secondo antipasto. Cosa potrebbero avere in comune baccalà, miele, passito, coriandolo, e tante verdure tritate finemente? Non dà l’idea di una accozzaglia di elementi che potrebbero, “suonando” tutti insieme, produrre una stridente cacofonia di gusti e profumi? E invece no! Tutti questi “strumenti alimentari”, si accordavano perfettamente tra loro per comporre una “sinfonia perfetta”.
Anche la più piccola “molecola” di peperone, grossa come un pallino da caccia, era perfettamente distinguibile, come colore, profumo e sapore, ma tutte le parti che componevano il piatto, si armonizzavano tra loro, per comporre una “perfetta sinfonia” di profumi, gusti e sapori.
Così come un’orchestra, composta da tantissimi strumenti musicali diversi, ognuno con la sua partitura, che suonando tutti insieme, costruiscono una “perfetta sinfonia” musicale.
E questa “sinfonia alimentare” è stata presente per tutta la cena, era dentro ogni piatto.
Il “Consommè di gallina di Morozzo” è alla fin fine, un “brodo di pollo”. “Machebbbuono” che era! Gustoso, saporito, leggero, col giusto grado di untuosità. Non un grammo in meno di sale, ne’ un grammo in più. Anche dopo aver terminato i tortelli, il brodo rimanente è stato spazzolato con golosità. E ne avremmo spazzolato altro ancora.
Le porzioni, se vogliamo, erano molto ridotte, ma capito ormai l’andamento della serata, abbiamo saziato lo stomaco con i diversi tipi di pane (tutti buonissimi, tra l’altro e anche questi di produzione del locale) che venivano portati, con solerzia, in tavola ogni volta che ne veniva notata la mancanza. E abbiamo soddisfatto tutti gli altri sensi con quei piccoli capolavori che uscivano dalla cucina. Siamo così usciti sazi ed estremamente soddisfatti di quanto avevamo degustato.
Una breve, ma alquanto confusa, descrizione del dolce mi sembra doverosa, vista la fantasiosa, ma criptica, descrizione del menu.
I miei ricordi, non coincidono con quelli di scogghi, come potrete constatare confrontando le nostre due versioni della serata.
Io ricordo un piatto quadrato di metallo con tre o quattro grosse gocce di mousse al caffè poste nel centro. Un paio di cilindretti di mela, marinata in un liquore (che non ricordo), un quadratino di sorbetto allo zafferano, una sottile sfoglia di croccante ai semi di sesamo (forse!), una leggerissima sfoglia di cacao, e un cucchiaino con una goccia "solida" di cui (purtroppo) non ricordo il gusto. Mi rimane il ricordo di un colore simile ad una "crema di castagne", ma ormai avevo raggiunto lo stato di "estasi mistica" e sicuramente il ricordo è mischiato anche con qualche allucinazione.
Il servizio è stato, fin dall’entrata perfetto: cortese, puntuale, discreto e mai invadente. Mai una cosa fuori posto. Come detto, al minimo accenno di mancanza di pane questo veniva subito riproposto ai commensali. L’acqua non era al tavolo, ma gli addetti al servizio giravano costantemente per la sala rabboccando i bicchieri appena accennavano a svuotarsi, e senza mai sbagliare tra chi aveva chiesto acqua gassata e chi naturale. Se proprio vogliamo dare un 9,99 giusto per penalizzare un po’ la serata, diciamo che un paio di volte le nostre portate non sono arrivate al tavolo contemporaneamente: prima ne sono arrivate due e, dopo “pochi secondi” la terza. Solitamente chi ordina il vino lo assaggia, e dopo la sua approvazione vengono riempiti i bicchieri di tutti gli altri commensali. Solo alla fine viene rabboccato il bicchiere di chi ha ordinato. Col primo vino, è stato riempito il bicchiere di un commensale, “rabboccato” il mio, che avevo ordinato il vino, e poi riempito il bicchiere del terzo commensale, seguendo semplicemente un comodo ordine antiorario. (Orrore! Orrore!).
Ma questi “peccati”, assolutamente trascurabili, e qui annotati solo “per scherzo”, sono solo serviti a rendere “umana” la serata. Altrimenti all’uscita del locale avremmo potuto pensare di essere stati su un altro pianeta.
L’ambiente, pur non brillando particolarmente, aveva il requisito che io considero fondamentale: chiaro e luminoso. Pareti bianche con quadri astratti appesi, anche questi giocati su tinte chiare. I tavoli ben distanziati, erano accostati alle pareti. Questo, pur permettendo ai commensali una posa comoda, costringevano gli addetti al servizio a togliere i piatti vuoti e a servire i nuovi dallo stesso lato. Peraltro, dove possibile, il piatto vuoto era tolto correttamente da sinistra e quello pieno servito a destra. Tutti i tavoli della saletta quella sera erano al completo, con un brusio che qualche volta si alzava di tono, pur rimanendo assolutamente nei limiti della tollerabilità. Se poi consideriamo al tavolo accanto al nostro, c’era seduta la “più bella ragazza dell’universo”, una creatura dal viso veramente incantevole, direi che all’ambiente potremmo dare anche 11!
Il conto è risultato di 186 euro a testa. Suddiviso in: 130 per il menu degustazione e 56 per le bevande. Praticamente ci siamo bevuti tre bottiglie (per i dettagli vedere sempre la recensione di scogghi). Questo perché l’aperitivo ci è stato rabboccato almeno due o tre volte, e abbiamo praticamente terminato quasi completamente la bottiglia. I costi del vino alla carta mi sono sembrati alti, ma in tono con il locale. C’è da rimarcare che i due vini ordinati, presi tra quelli di prezzo “medio basso” erano, comunque, di altissimo valore e qualità, dando ampio merito alle scelte della cantina.
Siccome sarò “costretto” a dare una valutazione sul rapporto qualità/prezzo, darò un buono, giusto per avere un’ultima remora nei confronti del prezzo, ma vi dirò che quando li ho estratti dal portafoglio, quei 186 euro a me, sono sembrati "solo" quattro pezzettini di carta...
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