Prezzo per persona bevande incluse: 100 €
Recensione
Un sabato sera di giugno, l’aria tropicale che preannuncia un’altra estate arroventata, un’idiosincrasia per l’afa che trasferisce sul mio povero corpaccione tutto il peso del cosmo: al ristorante di certo l’aria condizionata, benefica quanto effimera soluzione, trasformerà in raffreddore la mia momentanea beatitudine.. O forse no..
In compagnia di una coppia di amici, preceduto da uno dei solerti camerieri, percorro con mia moglie la scala che, collocata accanto a una magnifica cantina climatizzata a vista, conduce alle due sale principali de La Peca. Con somma gioia noto che le finestre sui colli Berici sono state aperte in modo da lasciar passare una leggera corrente di brezza serale: un intelligente e minimo dosaggio del condizionamento toglie l’odiata umidità all’aria, mentre allo stesso tempo evita il temuto effetto pressurizzazione.
A coronamento di un perfetto inizio di serata, il tavolo che ci è stato riservato è in angolo e offre la migliore delle visuali possibili sul verde paesaggio esterno. Del resto ciascuno degli altri è posizionato con sapiente distanza, a garantire privacy e vista.
Questo è soltanto il primo dei segnali di attenzione che arriveranno nel corso della serata: tutto qui si snoda senza dubbio attorno al motto dei giovani ristoratori europei, “talento e passione”.
Qualcuno ha già descritto eleganza dell’ambiente e gentilezza dei coniugi Portinari in sala: ciò che sorprende in una frequentazione (purtroppo) limitata ma costante, è la generale crescita di livello che traspare ad ogni visita.
Ecco perché questa volta la carta dei vini, invitante e fisicamente pesantissimo tomo, arriva insieme ad un comodo leggio posizionato accanto al maniaco appassionato di turno, consentendogli una consultazione agevole e una dedizione altrimenti impedita. Per il tipo di locale ma soprattutto per vastità e qualità dell’offerta i ricarichi sono di una correttezza esemplare.
La pattuglia dei giovani in sala è sempre la stessa: persone sorridenti, con quel piacevole accento che mi ricorda la terra da cui provengo, ma soprattutto con quel savoir faire che permette di esibire una grande professionalità senza il distacco (o volgarmente “puzza sotto il naso”) del personale di molti blasonati omologhi.
Che dire? Anche questa volta mi affido a frammenti di memoria e alla paziente collaborazione di mia moglie per descrivere il meritatissimo dieci alla cucina: avrei potuto commettere il crimine di scribacchiare appunti in presenza di questa magica atmosfera di seduzione? Di nuovo quindi, chiedo scusa a chi ha la pazienza di leggere per castronerie ed omissioni.
La carta dei vini riserva una sezione agli appassionati dei vini “fuori dal coro”, italiani e stranieri. Esauriente e ghiotta la presenza di triple A e di altre chicche: non posso non ordinare come inizio uno dei miei preferiti, lo sloveno Veliko Belo di Movia (vendemmia 1998, consigliata da Portinari che è anche competente sommelier), eccellente e sempre più emozionante con il passare degli anni.
La sensazione di partenza è subito chiara, la cena sarà memorabile: un calice di spumante italiano di cui ricordo soltanto lo splendido profumo e i dieci anni d’età e arrivano in tavola pani fragranti (seguiranno nel corso della serata delle soavi sfogliatine, al mais e al rosmarino e degli ottimi grissini) ed il primo dei due appetizer. In un minuscolo bicchiere ci sono pomodoro e piccolissimi pezzetti di asparago: il primo, in forma semiliquida, costituiva la summa gustativa dell’ortaggio: (correttamente) minima la dose e massimo l’entusiasmo di tutto il tavolo. Il vero, dimenticato sapore del pomodoro in tre magiche cucchiaiate.
Allo stesso modo tutti e quattro, piacevolmente sorpresi, apprezziamo il sapore pieno e netto e la consistenza di quello che potrei, probabilmente in modo improprio, definire un pâté di fagioli servito con cipolle dolci e avvolto in una foglia di insalata. Tanto orripilante è il modo in cui ne ho reso la descrizione, quanto anche in questo caso è stato possibile avvertire una materia prima di valore assoluto, esaltata da una preparazione essenziale e da un lavoro certosino. Sì, perché non va dimenticato che anche la presentazione di ogni singola portata è un piccolo capolavoro.. ma dato che per ora ho visto fotografare i piatti soltanto da parte di alcuni turisti giapponesi al Dolada a Pieve d’Alpago.. sarà meglio che qui veniate a vederli (e, va da sé, gustarli) di persona.
Il patron ci fa visita per raccogliere le nostre ordinazioni e assiste alla mia consueta, piccola, tragica manifestazione di dissenso nei confronti dei tre commensali che non riesco a convertire al menu degustazione di pesce, offerto a 90€ e bello ricco di proposte interessanti. Questo indurrà successivamente un piacevolissimo fuori programma.
Ordiniamo quindi, da diligenti votati all’ipocaloria, un antipasto e un secondo a testa, riservandoci lo spazio per gli invitanti dessert presenti in carta.
Una portata a base di astice per i nostri amici e una “suggestione” di stoccafisso per me e mia moglie. Se venite alla Peca non potete non gustare almeno un piatto che si muova attorno allo stoccafisso: nel nostro caso quattro piccole, deliziose variazioni, culminanti in un tortino con fonduta di Asiago da fine del mondo, attraverso una composizione con una fresca gelatina di aceto e una delicata mousse avvolta nella mollica di pane biscottata. La delicata consistenza in cui la tempra decisa del merluzzo viene trasformata è semplicemente magistrale.
Ecco quindi che il fuori programma offerto da Pierluigi Portinari si rivela: un assaggio di un piatto cotto a bassa temperatura e da assaporare tiepido, anche qui la mia descrizione è limitata e non rende il dovuto omaggio, perché queste lasagnette da gustare in un sol boccone e il loro delicato ripieno di pesce meriterebbero una poesia.
Arriva il momento della seconda bottiglia: questa volta, senza tediare il tavolo con la mia consultazione febbrile, mi affido al patron che mi consiglia una Malvasia di Kotar: siamo sempre in Slovenia e su altissimi livelli a prezzi davvero onesti.
E’ l’ora dei secondi piatti: un branzino di lenza al limone di Amalfi con carciofi e friggitelli viene servito ai miei tre compagni di viaggio, mentre io assaporo un magnifico tonno presentato insieme a profumati e minuscoli pomodorini con olive. Eccellente anche il boccone di branzino che sono riuscito a trafugare dal piatto di mia moglie.
Pre dessert, il primo: una spuma di fragole di cui conservo ancora nitido il sapore, sublime, appoggiata ad una delicata crema (bruciata?)..
Pre dessert, il secondo: una granita di mandorle con un profumo, una consistenza e un gusto da urlo.
Se la cucina di questo ristorante è grande, un capitolo di vera eccellenza è da riservare ai dolci (altro termine un po’ improprio e presto si capirà perché), se non vado errato curati (amorevolmente) proprio dal patron: a partire dalla denominazione, per arrivare a sapore ed equilibrio.
Sono riuscito ad assaggiare il parfait al basilico, credo con pomodoro e olio extravergine e mi ha dato una splendida sensazione: non è facile da concepire, per chi pensa che il dessert debba essere dolce.. provatelo e sappiatemi dire, fantastico.
Per quanto mi riguarda, classicheggiante, ho ordinato semifreddo al mascarpone con spuma di caffè amaro e caramello al tabacco. Il caramello andava sbriciolato sulla composizione, a corroborare con il gusto intenso e pungente del tabacco la perfetta armonia che scioglieva il contrasto tra l’amaro del caffè e il dolce del mascarpone.
La fortuna vuole che lo stomaco dell’amico presente abbia una limitata capacità: la sua mousse di liquirizia con gelatina al lime e salsa di limone e menta, grande classico de La Peca, è sempre di una bontà senza pari e finisce avviluppata dalla mia inarrestabile golosità: di nuovo una consistenza e una fusione di sapori perfetta.
Come al solito, purtroppo, una moglie apparentemente mingherlina e dallo scarso appetito, mi ha lasciato immaginare soltanto attraverso la sua descrizione che emozioni potesse riservare il tortino colante e mousse affumicata dei cru di Domori con gelato alla vaniglia e ristretto al porto..
Per chiudere in bellezza, insieme a una piccola pasticceria di grande suggestione scenica oltre che gustativa, gli uomini del tavolo accettano la gentile offerta di un distillato: un whisky torbato di grande potenza per me e un ruvido, profumatissimo rhum per il mio compagno di scorribande alcoliche.
Chiediamo il conto dopo il caffè: 100€ a testa per un rapporto qualità prezzo di assoluta correttezza. E di nuovo mi vengono in mente locali di grande fama e di cucina sicuramente più modesta, con le loro sovraesposizioni massmediatiche (anche in questo caso con le dovute eccezioni, perché non credo che la grande notorietà vada a scapito della qualità in modo automatico) e i loro conti siderali: di certo la silenziosa, grande passione che i Portinari esprimono attraverso il loro lavoro, pur essendo ampiamente documentata, meriterebbe ben altri riconoscimenti.
La serata si conclude tardi, dopo una mezz’ora di piacevolissime chiacchiere con i padroni di casa al bancone di fronte all’entrata, in compagnia di un paio di ottimi calici di Billecart-Salmon stappati per l’occasione e con il driver designato (io, chi altri?) per niente preoccupato della prova del palloncino: con un’esperienza così, il rischio va corso.
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