Avendone seguito per anni le alterne fortune sulle...

Recensione di del 16/11/2006

Al Bersagliere

153 € Prezzo
7 Cucina
7 Ambiente
8 Servizio
Rapporto qualità/prezzo: Scarso
Prezzo per persona bevande incluse: 153 €

Recensione

Avendone seguito per anni le alterne fortune sulle guide di settore, m’incuriosiva una visita in prima persona.

Il tragitto.
All’uscita A22 “Mantova Nord” dirigere per Verona; giunti alla rotatoria d’ingresso della località S.Antonio, prestare attenzione all’indicazione “Brescia”, dodici chilometri scarsamente trafficati vi condurranno a Goito. Da Milano si potrebbe azzardare l’uscita A4 “Desenzano”, imboccando a Castiglione delle Stiviere la s.s. 236: rettilineo costante, scorciatoia notevole.

Il luogo.
Edificio imponente, ubicato in corrispondenza di un ponte sul Mincio. La porta è chiusa a chiave, s’apre al suono del campanello: stante la posizione relativamente esposta, apprezzo quest’attenzione per la sicurezza. Ingresso con zona bar, un breve corridoio precede le due sale da pranzo comunicanti: pavimenti in parquet, sottili pareti divisorie, la luce filtra tenue dalle grandi finestre affacciate al fiume. La vicinanza alla sede stradale comporta un fastidioso sottofondo di traffico, la diffusione musicale offerta da una piccola cassa fissata al muro non l’attenua a dovere.

Arredamento eccessivamente sobrio: qualche tappeto, un paio di mobili, alcuni vasi di piante.

La tavola.
Quadrata, ampia, due tovaglie di discreta qualità, bianca su gialla giù sino al pavimento; sedie leggere con schienale in vimini e cuscino di cortesia, braccioli stretti che costringono a tenere una seduta molto composta. Sottopiatto d’argento con centrino a maglia, posate “Sambonet – Arthur Krupp”, cristalli “Jr”; un candeliere spento e un contorno floreale di gigli completano la presentazione.

Cesta dei pani d’ottima fattura, riproposta più volte alla bisogna: tra i tanti, ho preferito e bissato la variante allo strutto; una piccola cloche di ceramica bianca conteneva il burro, inizialmente ancora freddo di frigorifero. Spumante Carlozadra millesimato d’aperitivo: beva incostante, incerta tra pulizia e potenza; due mezze bottiglie d’acqua Panna.

La lista delle vivande propone una ventina di portate a prezzi mediamente sostenuti, tra le quali spicca un’invitante “Filetto di maiale con vellutata di formaggio e tartufo bianco”; oltre a ciò, due menu degustazione, uno “tradizionale” di quattro portate e uno più articolato, oggetto dello scritto.

La cantina.
Di moderna intelligenza, presenta buone etichette italiane ed estere a prezzi tutto sommato accessibili, e ciò grazie ad una limitata profondità d’annate; numerose comunque le referenze fuori carta. Scelgo un accompagnamento al calice: un aromatico Manna ’98 di Haas [uve riesling, traminer, chardonnay, sauvignon] e un buon Siepi ’97 di Fonterutoli [sangiovese & merlot] versato da una bottiglia già ritappata; poco male, ma è condotta quantomeno insolita per un ristorante di classe. Ai dolci un Banyuls ’03 di Chapoutier;

buona selezione di distillati, da centellinare nel salotto dedicato.

La cucina.

Terrina di coniglio, carote e melograno.
Appetizer d’insolita abbondanza, ben più di un assaggio di questa carne semplice, convenzionalmente “povera”.

Capesante saltate in tegame con pepe nero di Sarawak, zuppa di vino e zucchine a fiammifero.
Succulente, “grasse”, ben pepate ad inizio boccone e dolci di zuppa sul finire; le zucchine apportano quel tanto di verde necessario a non annoiare il palato. La denominazione “zuppa” potrebbe fuorviare, essendo presente in quantità appena sufficiente ad accompagnare le tre capesante.

Lasagna con ragù di quaglia e sue cosciette.
Si presenta sottile: tra due ampi lembi di sfoglia, il ragù si slega, essendo frammentato in piccole sezioni rotonde. Privo d’unto, il gusto va ricercato: combinando pasta e quaglia s’ottiene un sapore apprezzabile, diversamente non si ravvisa attrattiva alcuna. Due cosciette di contorno: tenere, ben cotte, in un locale di minor prestigio mi sarei servito delle mani per spolparle al meglio.
Asciutta.

Rombo chiodato dell’Adriatico con crema di carciofi.
Bella coreografia, piatto con bordatura scarlatta in piacevole contrasto con le tinte della portata. Per il resto, è pietanza di pesce godibilissima: l’accostamento alla crema di carciofi è di rilievo, ma il tutto rimane comunque rapportabile alla preparazione di rombo che è possibile assaggiare in decine di locali più o meno rinomati.

Controfiletto di cervo ai mirtilli con purea di zucca.
Un buon taglio di carne, cottura media, corretta. Dubbio essenziale: quali le affinità tra la zucca e il “sottobosco”? Contrasto che incuriosisce ma non m’intriga, il crescendo della carne non trova in ciò un contributo dolce atto da impreziosirne il gusto; occorre quindi, a mio parere, una maggiore consistenza nei contorni, ad oggi impalpabili.
Da rivedere.

Selezione di formaggi italiani.
Carrello con prevalenza di formaggi a pasta dura; chiedo un assaggio misto, declinando l’offerta di miele e salse varie.

Piccola pasticceria pre dessert.
Alzatina con bignè, cannoncini e croccanti mignon; bontà consueta.

Wafer con crema di nocciole, salsa di vaniglia e crema al cioccolato.
Cialde a cono ripiene di una crema di nocciole leggera, ben dosata; un dolce di rapida degustazione, essendo accompagnato da una guarnizione minima, non concepita ahimè per essere intinta, di vaniglia e cioccolato.
Piacevole.

Espresso cremoso, servito con un assaggio di praline di cioccolato bianco, cacao e cacao aromatizzato piccante.

Il servizio.
Oltre allo scrivente, un solo ospite in sala: tale sfavorevole contingenza, se sommata alla mescita di vino da bottiglia ritappata e ad un paio d’incertezze nella descrizione dei piatti, non consente d’attribuire un voto d’eccellenza ad una prestazione altrimenti impeccabile, altamente competente, preventiva d’ogni minima esigenza.

In summa.
Serbavo un ricordo piacevole del locale, un “Trancio di pescespada” servitomi diversi anni or sono da Massimo Ferrari, all’epoca interprete d’una celebrata cucina a due stelle; lungi dal voler azzardare confronti, definirei la linea dello chef attuale, Silvana Ferrari, “innesti d’opulenza su preparazioni classiche”: una cucina pertanto ricca, d’importante colpo d’occhio, sprovvista però del tratto d’autore valevole la spesa richiesta.

Il conto.
Menu degustazione 105 euro, cantina 40 euro [quattro calici], aperitivo 6 euro, caffè 2 euro. Totale 153 euro.

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