Prezzo per persona bevande incluse: 45 €
Recensione
Saranno ormai passati dieci anni dall’ultima volta che ho varcato la soglia del suo locale, ma lei, la patronne Clementina Viezzer, per gli amici Clemy, è sempre seduta al tavolo di fronte al caminetto, nella sala all’ingresso riservata ai vip, pronta ad accogliere i suoi ospiti e ad occuparsi della supervisione. Già, perché una delle caratteristiche di questa bella trattoria poco distante da Follina è la costante concentrazione di personaggi di rilievo del bel mondo trevigiano, noti e meno noti al grande pubblico ma pur sempre accuratamente stivati in quella stanza e in nessun’altra delle quattro, tutte comunque molto godibili nella loro sciccosa rusticità: belle tovaglie linde, comodi cuscini sulle classiche sedie da osteria, simpatici bicchieri per l’acqua con il logo del locale inciso, decorative riproduzioni di stampe antiche con temi della Marca.
Tutto è rimasto identico al Castelletto, compresi i piatti: peccato che la ripetizione ad oltranza non abbia giovato al consolidamento dei grandi, semplici classici.
Recitato da una cameriera in costume locale, tanto simpatica quanto professionalmente approssimativa, il menu prevede una serie di piatti che tanto tempo fa erano una prelibatezza e adesso scricchiolano un po’, pur mantenendosi ad un livello più che accettabile.
Durante la mia lunga assenza ha fatto la sua comparsa anche una carta dei vini, non particolarmente fornita ma sufficiente per una trattoria: il Don Luigi di Di Majo Norante, offerto a 36 euro, pur risentendo ancora un po’ troppo del passaggio in legno, è un bel vino.
Siamo in tre, ma i bicchieri arriveranno uguali per due, mentre il terzo commensale si dovrà accontentare di una forma simile: scelta o disattenzione? Quando verrà lasciato in tavola il piatto vuoto dei miei spaghetti all’arrivo del secondo dei miei compagni di tavolo, la risposta sarà chiara.
Ecco che quella che ricordavo una soave polentina morbida con burrata e soppressa, collaudato ponte tra Nord e Sud, è ancora buona, ma com’è possibile trovare piccoli grumi, il latticino un po’ troppo liquido e la fetta di soppressa tagliata con lo spessore di un San Daniele?
Discreta l’insalata di pollo con rucola e melagrana, semplice e godibile il filettino al balsamico, entrambi antipasti di vecchia data.
Meglio, molto meglio gli spaghetti con la salsa al radicchio, cotti alla perfezione anche se forse un filo di untuosità in meno nel condimento li avrebbe resi irresistibili, così come ne avevo memoria.
La tagliata di manzo, nella sua semplicità, è davvero molto buona: cottura come si deve, carne tenera e saporita con qualche bacca di ginepro a conferire un pizzico di gusto in più. Un po’ sciupate le patate arrosto in accompagnamento, probabilmente riscaldate oltre la loro naturale vocazione.
Se, tra i dessert, la mousse al cioccolato si mantiene su livelli di sufficiente appagamento per il goloso medio, un altro grande classico, la vecchia memorabile crema catalana “sui generis” (di fatto è un semifreddo alla crema cosparso di mou) scivola su un’eccessiva permanenza in congelatore e scricchiola spiacevolmente in bocca. Un monte di spanne sopra la pera cotta con gelato alla vaniglia e zabaione, di opulento apporto calorico ma di impatto godereccio notevole.
Una mezza bottiglia di ottimo moscato Dindarello del vicentino Maculan sostituisce a furor di popolo il caffè, a conclusione di una serata abbastanza positiva ma deludente rispetto alla memoria dei fasti passati.
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