Prezzo per persona bevande incluse: 100 €
Recensione
“Sentite qua!”. Pier Luigi Di Diego apre le mani e volge i palmi verso di noi: è freschezza quella che sentono i nostri nasi, il mare d’inverno, un profumo sottile e allo stesso tempo persistente.
Lo chef, dopo averci invitati in cucina, tra il ribollire di pentole e la brigata affaccendata, apre il frigorifero dove sosta il pescato della notte precedente. Ci presenta un sontuoso rombo di cinque chili, triglie, scampi e canocchie ancora vivi, uno spettacolo: è emozionante entrare nel regno del cuoco, davvero istruttivo percepire la tensione dei momenti che precedono le ultime lavorazioni prima dell’uscita in sala dei piatti. Sembra di stare nel backstage di un palcoscenico, gli attori in attesa di dare il meglio di sé al proprio pubblico. Anche Bruno, ben più avvezzo di me a questa esperienza, sprizza gioia eccitata.
Sarà perché qui si viene accolti con calore e semplicità: nella suggestiva corte della vecchia Borsa del commercio, in un palazzo settecentesco a ridosso del centro storico di Ferrara, Marco Merighi e la giovane compagna attendono gli ospiti nel loro piccolo grande locale. Luci soffuse, musica jazz in sottofondo, i pochi eleganti tavoli garantiscono la giusta riservatezza. Al centro della sala, una scala a chiocciola scende verso la splendida cantina: l’occhio più esperto potrà cogliere al volo la presenza di bottiglie notevoli e la passione del patron per le etichette meno banali.
Le bollicine del Brut di Cà del Bosco 1996 stuzzicano le nostre papille mentre una piccola sorpresa dello chef giunge a solleticare il palato: la zuppetta di granchi rosa con lattughine farcite di granseola e cicoria è un benvenuto degno di tale nome; leggera ed intrigante ci predispone all’esplosione di sfumature di un memorabile piatto di crudi: di nuovo i granchi rosa, questa volta da suggere con avidità, seppioline vellutate, mazzancolle e scampi di grande freschezza, una delicatissima ombrina, i filetti di triglia. Il mare, nella sua espressione più pura, solo qualche goccia d’olio e pochi grani di sale e il sorriso si accende per farsi grande con la terrina di canocchie in crudità con pomodori confit ai tre pesti: una leccornia da centellinare boccone dopo boccone.
La carta dei vini è uno splendido tomo, ma la conoscenza di Merighi è tale per cui lasciamo sia lui a governare il flusso dei bicchieri. Ecco che assisteremo estasiati alle evoluzioni dell’Ageno, IGT piacentino a base di malvasia, ortrugo e trebbiano de La Stoppa, biodinamico, annata 2003: un susseguirsi inarrestabile di profumi. Un iniziale sentore di geranio vira dopo mezz’ora sul bergamotto, dopo un’ora arrivano fieno e coriandolo, ancora venti minuti e s’è fatto tè e cognac, poi ancora calendula, di nuovo bergamotto, canna macerata, fieno...
Nasi impazziti e un impatto stupendo in bocca: piacevolmente ruvido, lievemente tannico e lunghissimo. Si tratta soltanto di starlo ad aspettare e farsi regalare nuove magnifiche emozioni.
Insieme all’Ageno una bottiglia di Vernaccia di san Gimignano, Mosto Fiore Montenidoli, del 1995. Colore e profumi splendidi, morbidezza e suadenza, altro grande vino.
E andiamo avanti con le squisite proposte della cucina, con una zuppetta di cipollotti con rombo nostrano, quella bestia che avevamo conosciuto in cucina poco prima, profumato all’aneto, stracciatella e pepe di Sechuan: dolci i cipollotti, splendido il rombo, la nota di contrasto dell’aneto a rinfrescare. Viene voglia di intingerci un pezzetto di quel pane che non si può non assaggiare, di grande, invitante fragranza.
Che dire degli spaghetti alla chitarra leggermente piccanti con vongole pavarazze e verze? Le vongole, non lavate, hanno un sapore intenso e l’abbinamento alla verza col suo finale amarotico è azzeccatissimo, forte, di grande impatto, mentre la pasta è una perfetta sodale.
Riuscita, fuor di dubbio, anche la farinata di ceci con mazzancolle nostrane al rosmarino: più spessa della cugina ligure, mantiene sublimi consistenza e croccantezza.
Nel frattempo, sul versante alcolico, il Morgon 2002 del domaine Marcel Lapierre e il Sauvignon sloveno di Blazic 2000 muovono sensazioni interessanti ma rimangono in secondo piano rispetto ad Ageno e Montenidoli.
Senza inficiare minimamente una cena memorabile, una piccola sconfitta arriva dai filetti di triglia che vengono abbinati ai carciofi toscani: la loro potenza fa sì che il sapore del pesce, più delicato, si perda inesorabilmente.
Poco male: tra le leccornie servite nell’attiguo wine bar, meno impegnativo ma altrettanto qualitativamente valido, ci sono dei salumi stupendi. Marco ci fa assaggiare tre abruzzesi da urlo: la mortadella di Campotosto, una salsiccia di fegato che non si può descrivere a parole se non attraverso la compulsività che potrebbe generare se fosse a disposizione ad libitum e una ventricina leggermente piccante servita su una fetta di pane. Memorabili.
E a proposito di memorabile, abbiamo l’occasione di assaggiare un vino del tutto sui generis: fratello del più noto Solaria Jonica, il Ferrari 49 – dove 49 sta per 1949! – è un primitivo, di un’integrità incredibile per l’età, che ci viene descritto da Merighi come un elisir dalle proprietà quasi magiche. E’ austero, lunghissimo, indimenticabile.
Si può fare a meno di un dessert questa sera? La risposta, va da sé, viene da sola dando un’occhiata alla carta, davvero troppo invitante. Così, se i grandi bigné fritti e caramellati con salsa alle clementine, che arrivano direttamente dalla grande tradizione del Trigabolo della quale si fregiano i due soci del Don Giovanni, sono una libidine per la gola, non da meno si rivela la cassata di pomodori verdi al pepe verde, lime e coriandolo, nell’esaltante e freschissimo contrasto dolce-acido.
Irrinunciabile, a questo punto, un ottimo caffè: dato che non ci siamo risparmiati, la piccola pasticceria non arreca danno ad una linea perduta da tempo. Ma serve a qualcosa mantenersi magri?
Ce la godiamo fino in fondo, in particolare l’eccellente cucchiaino con créme-caramel, mentre sorseggiamo un infuso di achillea incredibilmente delicato e digestivo, alla fine di una serata da ricordare a lungo, in un luogo da ritrovare presto.
(Marco Colognese)
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