Finalmente di ritorno in terra natale, riesco a tr...

Recensione di del 26/07/2007

S'Apposentu al Teatro Lirico

80 € Prezzo
7 Cucina
7 Ambiente
6 Servizio
Rapporto qualità/prezzo: Normale
Prezzo per persona bevande incluse: 80 €

Recensione

Finalmente di ritorno in terra natale, riesco a trovare tempo e occasione per un’agognata visita al “S’Apposentu al Teatro Lirico”, rinomato e plurirecensito ristorante cagliaritano, monostellato Michelin, oltre che membro dei JRE.
Il proprietario e chef Roberto Petza, insieme con la moglie, apre il suo primo ristorante a San Gavino nel 1999, tenta quindi tre anni più tardi l’impegnativa scommessa di un trasferimento nel capoluogo scegliendo una suggestiva quanto inconsueta location, nel contesto del Teatro Lirico, appunto, di recente ristrutturato. E’ sicuramente una scelta ardita, per quanto rivelatasi poi azzeccata, specialmente per una città come Cagliari, così poco avvezza alle novità e soprattutto diffidente quanto il carattere sardo.

Il ristorante si raggiunge facilmente seguendo le indicazioni per il Teatro, alle spalle del T-Hotel, modernissima costruzione in acciaio e vetro che si può scorgere da più punti della città e che tanto successo ha avuto di recente. Il parcheggio è agevole nel piazzale antistante. Un campanello con videocitofono annuncia il nostro arrivo, puntuale per le ore 21.45… piccolo elogio agli orari isolani, così mediterranei, e non solo d’estate! La prenotazione era stata accettata il giorno innanzi senza difficoltà.
Una sorridente cameriera, sobriamente vestita di un lungo grembiale marrone, ci accoglie al primo piano, alla sommità di una fredda scala a chiocciola in cemento armato e ci conduce attraverso una prima sala che ospita il bancone bar, con ampie vetrate orientate verso la strada, in fondo alla quale si scorge la cucina a vista. Il lavoro ferve dietro i vetri, si scorgono numerose teglie in bella vista che ospitano il pane appena sfornato.
Lo stesso chef Roberto Petza ci accoglie all’ingresso dell’unica sala con un breve cenno di saluto.

In sardo “S’Apposentu” significa genericamente “stanza”, così, per esempio, “s’apposentu bellu” è il cosiddetto “salotto buono”, l’ambiente adibito alla ricezione degli ospiti solo in determinate occasioni importanti.
Di fatto, la sala del ristorante è di dimensioni medie, piuttosto raccolta. Nelle scelte cromatiche e nell’arredamento si ritrovano alcuni elementi caratteristici dell’inconsueto ambiente che ci ospita. Ad esempio il drappeggio in pesante tessuto color cremisi e oro che pende dall’alto soffitto riproducendo la quinta di un palco o ancora, alcune nicchie numerate che sul fondo della sala rappresentano altrettanti palchetti con divanetti in velluto rosso.

L’atmosfera è piacevole, ancorché un poco “dejà vu”: forse per il ricorrere di molti elementi che fanno tanto “fashion milanese” e che non ti aspetteresti di ritrovare proprio qui.
Prevalgono i toni caldi: a una parete color aragosta, stemperata da vetrate satinate, se ne contrappone una color verde marcio che ospita alcuni quadri a olio. Illuminazione discreta, affidata a faretti posti su cavetti di acciaio e alcune apliques. Vetrinette color arancio ospitano stoviglie e quanto utile al servizio. Al soffitto campeggia l’impianto di condizionamento a vista zincato.
Pavimento in parquet, circa dodici tavoli ben distanziati, quasi del tutto occupati, mentre al centro della stanza è presente un tavolo antico che ospita liquori e glacette per il vino tra ornamenti vari.

Veniamo fatti accomodare in un tavolo quadrato per due, a dire il vero forse il più sfortunato in assoluto perché accanto alla porta che conduce a un locale di
dove sono ospitate le bottiglie e che verrà aperta e chiusa in continuazione per tutta la serata con evidente disagio per noi.
Piccola cortesia gradita: la borsa delle signore viene alloggiata su un poggiapiedi rivestito in tessuto, il medesimo, forse un po’ pesante tessuto damascato che riveste le sedute, e allocato ai piedi del tavolo.

L’apparecchiatura è essenziale nella sua eleganza: prevalenza dei toni del bianco, stoviglie di pregio, bicchieri per l’acqua in vetro decorato ognuno diverso per foggia e colore. Pochi e discreti gli elementi decorativi come piccole conchiglie e pastiglie di vetro colorato sparse per il tavolo a richiamare il tema marino, due portacandele e, infine, il piattino per il pane.


Ci viene servito un aperitivo non specificato e consegnata la carta. Rigorosamente senza prezzi la mia. Sono presenti due menu degustazione, di cui uno di mare e uno di terra entrambi di cinque portate e un dolce a scelta tra quelli presenti nel menu dedicato. Sono comunque possibili ampie scelte alla carta.
Sul menu vi è un poscritto in cui lo staff si scusa per l’assenza, tra le pietanze, del tonno, considerato specie in estinzione per via della pesca intensiva.

Poiché alcuni invitanti piatti presenti nel menu degustazione non figurano in carta (scelta strategica?) decidiamo di optare per quello di mare e chiediamo cortesemente allo chef, giunto al tavolo per la comanda, di effettuare due piccole variazioni., argomento questo di cui parlerò più diffusamente in finale di recensione.
Mentre ancora siamo in fase di consultazione dell’ampia carta dei vini, con prevalenza di cantine sarde, discreta varietà e ricarichi pari circa il 50% del prezzo di enoteca, viene servito un appetizer: spuma di mozzarella di bufala con basilico, acciuga e grissino al sesamo. Sfizioso e gradito benvenuto della cucina presentato in piccolo bicchiere a sezione ellittica da mangiare al cucchiaio. Ad accompagnarlo, un ricco cestino per il pane, che però non verrà mai più sostituito né rimpinguato durante la cena. Dimenticanza? Il cestino comprende pizza casalinga, pane carasau, una deliziosa sfoglia salata e pane al sesamo.

Ad accompagnare le nostre scelte scegliamo un Cometa di Planeta del 2006, IGT Sicilia. Vino certamente carico e aromatico, forse persino troppo rispetto alla delicatezza di alcuni piatti della degustazione, molto minerale e con notevole persistenza gusto-olfattiva.
La bottiglia viene dapprima presentata dal sommelier, ma stappata lontano dal tavolo, abitudine che sinceramente non apprezzo particolarmente. Il vino viene poi proposto per l’assaggio dopo adeguato cambio di calici e allocato in una boite à glace non raggiungibile, con l’evidente svantaggio di dover sistematicamente attendere che il vino venga rabboccato di volta in volta, cosa che purtroppo non avverrà sempre puntualmente durante la serata.


E veniamo alla nostra cena.

Ad aprire la degustazione piccole crudità con i loro abbinamenti: gamberi gobetti con pomodoro e finocchietto selvatico, seppioline con grani di sale nero e sesamo, tartare di palamita e gamberi allo zenzero. Serviti su coreografico quanto inflazionato piatto quadrato suddiviso in quattro alloggiamenti, altrettanti mini assaggi (ma veramente mini ) ospitati in cucchiai jap-style. Buono il gusto, gradevoli gli abbinamenti. Voto 7.

A seguire gamberi spadellati alle erbe con carciofi allo zenzero e crema di patate. Davvero ottimo il contrasto tra la nota dolce della crema di patate, leggera e vellutata nella consistenza e quella agrumata dello zenzero. Buono. Voto 7.5

Segue una zuppa di nasello con gelato di gamberi e gamberi crudi. Forse leggermente ripetitiva la proposta di un piatto al cucchiaio dopo il precedente. Sapori purtroppo confusi, non si distinguono gli ingredienti. Il gelato di gamberi è sciolto completamente nella crema e non si riesce più a isolarne freschezza e nota di sapore. Insipido. Voto 6.

Prima variazione sul tema: pasta fresca di Gragnano con ragout di melanzane e gamberi. Nella norma. Voto 6.5

Seconda variazione richiesta sull’originale: filetti di triglia scottati sulla pelle con vinaigrette all’albicocca. Molto convincente: ottima l’amalgama dei sapori, croccantezza conferita da una sottilissima copertura di pane ad avvolgere il filetto di triglia. Voto 8.5

Ci avviamo verso la conclusione: il predessert consiste in un sorbetto all’ananas con scaglie di cedro. Fresco e piacevole.
Per me gelato allo zafferano di San Gavino Monreale (presidio Slow Food), servito con miele e gattò, croccante sardo sbriciolato. Davvero gustoso, sicuramente la preparazione più originale.

Al mio ospite, insieme con il caffè, viene portato un vassoio di piccola pasticceria: frutta intinta nel cioccolato fondente, minimeringhe e cioccolatini.


Quali conclusioni trarre? Sicuramente una cena piacevole, ma nulla più. Non sarebbe corretto affermare che certe aspettative siano state tradite ma di fatto devo ammettere che una lieve delusione e un senso di insoddisfazione ci ha accompagnato fino alla fine della serata. Materie prime buone, ma non eccelse (soprattutto il crudo), servizio a tratti approssimativo (complice anche l’affollamento della serata estiva), alcuni piatti buoni, altri ordinari, alcuni del tutto privi di carattere, in una successione assolutamente altalenante.
Infine il conto, tutto sommato nella norma per un totale di 158 euro: due menu degustazione proposti a 60 euro, vino a 30 euro, il resto per coperto, acqua e caffè.

A proposito delle variazioni richieste sul menu degustazione: conscia del fatto che lo chef era del tutto autorizzato a non accettarle, nel momento in cui lo ha cortesemente fatto avrei gradito che non avesse dato a vedere un certo fastidio. A noi ha lasciato la sensazione di aver chiesto più di quanto dovuto o per lo meno la sgradevole percezione di aver voluto operare una scelta “furba” e non semplicemente di sincera curiosità per dei piatti che altrimenti non avremmo potuto assaggiare. Ci era parso fuori luogo specificare che avremmo, come ovvio, pagato l’eventuale differenza di prezzo, ammesso che ci fosse stata, e questo non è stato fatto passare inosservato. Credo che in un ristorante di livello si possa tranquillamente evitare questo tipo di situazioni imbarazzanti.
Detto ciò, un’esperienza gradevole, ma che di ritorno a Cagliari non ripeterei o comunque non mi sentirei di consigliare tra le tante proposte gastronomiche, anche se non di livello riconosciuto, presenti nel capoluogo sardo.

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