Prezzo per persona bevande incluse: 40 €
Recensione
La ricerca di perle più o meno “sotto casa” continua. Una sorta di scommessa, di pesca. E questa volta la pesca è stata fruttuosa, e il pesce bello grosso.
Allora, anzitutto la scoperta viene da Slow Food. Curiosamente, pur essendo il locale davvero vicino a casa, nessuno mai ce ne parlò (e pensare che di gente che mangia ne frequentiamo). Chissà come mai. Probabilmente perché le mie conoscenze sono "osteriose e trattoriofile" e qui si vola un pochino più in alto. Non siamo dalle parti del ristorantone, ma neanche del tutto in zona osteria. Siamo, probabilmente, in quella che il mio socio letterario definirebbe un' “osteria ristorantizzata”, categoria che lui ama molto e che io - per pura polemica - tendo a negare.
Comunque imposto il navigatore perché, benché Spinetta Marengo sia davvero un paese abbastanza piccolo, io sono in grado di perdermi anche sotto casa. Il navigator medesimo mi porta in una stradina apparentemente insulsa. Non c'è l'ombra di un'insegna, niente... Ci sono case dietro case, una sorta di paesino/quartierino dove pare ci sia nulla e dove l'unica possibilità sarebbe quella di suonare un citofono a caso e dire “eccoci, siamo arrivati”.
Ad un tratto, d'improvviso, ecco alla sinistra una struttura bassa (solo piano terra), probabilmente un'ex stalla o qualcosa di simile. Insegna stilosa e fiocamente illuminata (quella che si vede, un po' fighettamente intermittente, sulla pagina d'apertura del sito).
Già la sera è di quelle fredde e nebbiose, tutto fa a creare l'ambiente che mi piace.
Entriamo.
Sera evidentemente fiacca. Non c'è quasi nessuno. Abbiamo ripetuto il miracolo della settimana prima. Datemi retta, le sere prima di Natale e di Capodanno sono perfette per il navigare dolce in osterie: tutto è pronto, tutto è caldo e oliato, ma tutti sono a casa a far rilassar panze e ganasce (o, semplicemente, a risparmiare...) e in giro non c'è un'anima. È bellissimo.
L'ambiente è caldo ed arredato con poche, azzeccatissime cose.
Il servizio gentile, attento, senza esser troppo caricatura di se stesso (dall'osteria ristorantizzata al ristorantone quante volte capita il contrario?).
Iniziamo le danze. E da subito si capisce che si vola alto. Alto e bene.
Per l'ennesima volta violo la mia piemontesità (a metà, peraltro) saltando l'antipasto ed andando dritto sul primo, così da gustarmi senza dubbio il pasto intero.
Esordisco con gnocchetti con crema di melanzane e roccaverano, semplicemente perfetti (sulla durezza del (“dello” non lo dirò mai) gnocco ci si potrebbe spendere un trattato e una vita intera di litigate: diciamo che qui siamo in scuola “morbida”, ma senza estremismi).
Mia moglie, con meno sangue piemontese di me, invece esordisce col più francopiemontese degli antipasti: tartare di fassone con uova di quaglia e senape di Dijon. Ovviamente assaggio e confermo l'assoluta perfezione (che sta anche nella leggerezza del condimento, finalizzata ad esaltare i già ottimi due accompagnamenti. Per chi volesse ampliare il condimento, però, viene portata al tavolo una bella varietà di oli e di sali).
Proseguiamo coi secondi.
Lamelle di fegato con cipolle dorate (altro piatto assolutamente esaltante) per me e trippa alla milanese con patate e bianchi di Spagna per mia moglie, decisamente in vena.
Bevuto un ottimo Grignolino di Gatto 2009.
Vado a dare un'occhiata al reparto distillati, per il vero non amplissimo (di questo il cameriere si scusa: il locale nelle feste avrebbe chiuso, e non si sono riforniti. Questo potrebbe essere un difetto, ma è superabile, dal momento che quel che c'è, per me basta e avanza). Vedo un Calvados che non conosco e ne ordino due. Notevole (ma trattasi di una mia debolezza: per me è notevole sempre, anche se questo mi pareva proprio brillare per morbidezza e persistenza).
Conto sui 40 euro a testa, che, dati ambiente, servizio e qualità delle portate, parmi esser del tutto equo.
Le feste son finite ed il ritorno, in cerca della conferma di un angolo di paradiso sotto casa, è in programma a breve.
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